Analisi Comparativa: Tempesta e Simbolismo in Alceo e Orazio

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La Nave nella Tempesta: Un Confronto tra Alceo e Orazio

Fr 208a - La nave nella tempesta

ἀσυννέτημμι τὼν ἀνέμων στάσιν, τὸ μὲν γὰρ ἔνθεν κῦμα κυλίνδεται, τὸ δ’ἔνθεν, ἄμμες δ’ ὂν τὸ μέσσον νᾶϊ φορήμμεθα σὺν μελαίναι.χείμωνι μόχθεντες μεγάλωι μάλα· πὲρ μὲν γὰρ ἄντλος ἰστοπέδαν ἔχει, λαῖφος δὲ πὰν ζάδηλον ἤδη,………καὶ λάκιδες μέγαλαι κὰτ αὖτο, χόλαισι δ’ἄγκυλαι τα δ'οηια

Traduzione

Non riesco a capire la lotta dei venti. Un’onda si rovescia di qui, l’altra di là: nel mezzo noi siamo sballottati con la nera nave soffrendo molto a causa della grande tempesta; l’acqua della sentina supera la base dell’albero, la vela (è) tutta squarciata ormai, e ampi strappi in essa (si allentano le sartie).

Analisi del Testo

Cosa rivela il significato allegorico del brano alcaico: l’invito al fruitore del componimento ad intendere la descrizione della nave in balia della tempesta come simbolo della città funestata dalla guerra civile è il termine στάσις; (stessa radice di ἵστημι, porsi/collocarsi in fazioni contrapposte) termine fortemente connotato, che rimanda immediatamente ad un contesto politico; la στάσις dei venti è (ad un primo livello di lettura) la “lotta” dei venti che soffiano in direzioni contrarie (il quale non è specificato da Alceo) , mentre sul piano simbolico essa rivela il riferimento dell’intero brano alla guerra civile fra fazioni aristocratiche e l’avvento della tirannide di Mirsilo. L’allegoria procede poi senza alcun riferimento esplicito al suo significato simbolico, in quanto la sua individuazione è ormai data per scontata dall’autore, che procede nella narrazione allegorica sapendo che chi ascoltava/leggeva il poema aveva gli strumenti per individuare in ogni immagine, dotata di straordinaria concretezza e realismo ecfrastico, il simbolo di una delle conseguenze socio-economiche della guerra civile (patrimoni in rovina, famiglie distrutte, l’esilio, la violenza per le strade); nonché dell’inevitabilità, ormai, dello scontro aperto come del naufragio di una nave ridotta nelle condizioni descritte dal poeta di Lesbo il cui unico possibile destino è quello di affondare, senza una rotta/direzione che solo la concordia interna può garantire.


Fr 338 - Inverno

ὔει μὲν ὀ Ζεῦς, ἐκ δ᾽ ὀράνω μέγας χείμων, πεπάγαισιν δ᾽ ὐδάτων ῤόαι < ἔνθεν > <…> κάββαλλε τὸν χείμων᾽, ἐπὶ μὲν τίθεις πῦρ ἐν δὲ κέρναις οἶνον ἀφειδέως μέλιχρον, αὐτὰρ ἀμφὶ κόρσᾳ μόλθακον ἀμφι<…> γνόφαλλον

Traduzione

Zeus piove (fa piovere), e dal cielo (scoppia) una grande tempesta: si sono congelati i corsi d’acqua, caccia via la tempesta (demolisci questo tempo d’inverno), avendo posto (più legna sul fuoco) fuoco, avendo mescolato generosamente il vino dolce come il miele e intorno alle tempie [mettiti] una morbida lana.

Orazio, Ode I 9

Vides ut alta stet nive candidum Soracte nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto. dissolve frigus ligna super foco large reponens atque benignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota.

Traduzione

Vedi come si leva candido per la molta neve il Soratte, e come più non reggono il peso i boschi affaticati e per il gelo acuto i fiumi si sono fermati. Dissolvi il freddo, mettendo sul fuoco legna in abbondanza, e più generosamente versa dall’anfora sabina, o Taliarco, vino di quattro anni.


Fr 346 - Dura un dito il giorno

πώνωµεν· τί τὰ λύχν' ὀµµένοµεν; δάκτυλος ἀµέρα· κὰδ δ' ἄερρε κυλίχναις µεγάλαις αιτα ποικιλλις· οἶνον γὰρ Σεµέλας καὶ Δίος υἶος λαθικάδεον ἀνθρώποισιν ἔδωκ'. ἔγχεε κέρναις ἔνα καὶ δύο πλήαις κὰκ κεφάλας, ‹ἀ› δ' ἀτέρα τὰν ἀτέραν κύλιξ ὠθήτω

Traduzione

Beviamo, perché aspettiamo le lucerne (la sera)? Il giorno è un dito (breve). Ragazzo porta le grandi coppe decorate, Dionisio figlio di Semele e di Zeus ha dato il vino laticadea. Versa mescolando una parte di acqua e due parti di vino viene fino alla testa/al colmo, una coppa insegue l'altra.


Fr 332 - Smodata esultanza per la morte di Mirsilo

νῦν χρῆ μεθύσθην καί τινα πρos βίαν πώνην, ἐπεὶ δὴ κάτθανε Μύρσιλος.

Traduzione

Ora bisogna/ è necessario ubriacarsi e che ciascuno beva a forza poiché è morto Mirsilo.

Analisi

METRO: strofe alcaiche, due endecasillabi alcaici

Il poeta invita tutti gli astanti a bere, è un simposio, ubriacarsi nel simposio è oltre misura e superare i limiti veniva visto come un difetto, bisognava bere vino diluito mai puro. Alceo invita all’euforia, è efficace questo distico perché si passa da un enunciato vago verso il singolo membro. L’ubriachezza generale è il risultato del bere di ognuno, quindi c’è questo studio in armonia che porta dal singolo alla collettività. “Ciascuno deve bere perché tutti si devono ubriacare”. Presente un climax ascendente che culmina con il nome di Mirsilo, vi è una sorta di suspense che alla fine ci fa scoprire il perché bisogna ubriacarsi. È un simposio che può finalmente prendere la via dell’ebbrezza più sfrenata –μεθύσθην, “ubriacarsi”, è intiepidito dall’oraziano est bibendum, ma i soldales di Alceo avrebbero bevuto anche senza gioia, ed è proprio tale esagerazione che marca l’eccezionalità della festa, quello inaugurato dal dirompente incipitario “ora” (νῦν), che esprime enfaticamente il punto di partenza della gioia e anticipa la temporale-causale “dacché …”: e persino chi (τινα, al v. 1, è nel contempo indefinito e distributivo, “uno” e “ciascuno”) non avesse sete “deve” (χρῆ, v. 1) “bere”, persino “a forza” (πρos βίαν), “da quando” e “perché” (ἐπεὶ δὴ, v. 2) finalmente è morto (κάτθανε) Mirsilo (con enfatico ritardo del nome proprio nella clausola del v. 2).


Carme I 37

Nunc èst bibèndum, nùnc pede lìbero Pulsànda tèllus, nùnc Saliàribus Ornàre pùlvinàr deòrum Tèmpus erèt dapibùs, sodàles.

Traduzione

Ora bisogna bere, ora bisogna ballare col piede libero, battere la terra, saltare, ora, era già tempo, amici, di ornare il convito sacro degli dei con vivande dei sacerdoti Salii.

Analisi

Metro: strofe alcaiche

Orazio compose quest'ode per manifestare la propria esultanza e celebrare la definitiva vittoria sulla regina dell'Oriente che, insieme ad Antonio, aveva osato minacciare la recente stabilità raggiunta dall'impero. All'inizio il poeta incita alla gioia per la lieta notizia; fa seguire quindi l'esaltazione per le gesta di Ottaviano, che sconfigge la nemica e fulmineamente la insegue. Poi però tributa un omaggio pensoso alla regina vinta ma non doma: Cleopatra, infatti, preferisce darsi la morte di propria mano, piuttosto che cadere nelle mani del vincitore. Il Carmen I, 37, intitolato "La morte di Cleopatra", inizia con l'anafora "Nunc est bibendum, nunc pede libero...nunc Saliaribus." ripetuta per tre volte per sottolineare la gioia improvvisa della notizia della morte di Cleopatra. "Est bibendum" è una perifrastica passiva impersonale, mentre ritroviamo con "pulsanda" una perifrastica passiva personale, entrambe segno di gioia e d'esortazione di festa. L'ablativo strumentale "Saliaribus dapibus"fa parte di una struttura che in realtà sarebbe "nunc, sodales, tempus erat ornare pulvinar deorum Saliaribus dapibus. "Pulvinar" è la metonimia che sta per letto tricliniare su cui erano poste le immagini degli Dèi per rendere loro omaggio offerte. Nel verso 4 è usato il verbo all'imperfetto "erat" per sottolineare che l'avvenimento è già avvenuto; in seguito alla fine del verso troviamo "sodales" che è un vocativo, riferito ai compagni esortati a festeggiare.


La nave in tempesta Alceo-Orazio

Orazio riprende con un atteggiamento di imitatio emulation il carme di Alceo. O navis inizia invece la prima parola lì era assunnetemi “non capisco”.

Traduzione Ode I 14

O nave ti riporteranno in mare nuovi flutti. Che fai? raggiungi risolutamente il porto. Non vedi che il fianco privo di remi e l'albero danneggiato dall'Africo impetuoso e i pennoni cigolano, e senza corde la carena a stento può resistere al mare troppo violento? Hai le vele strappate non hai dei da invocare di nuovo appresso alla sciagura. Sebbene realizzata in pino del Ponto Eusino, figlia di nobile selva. Tu vanti e una stirpe e una fama inutile; il marinaio impaurito non fa alcun affidamento sulle poppe dipinte. Ma tu se non vuoi diventare ludibrio dei venti, sta attenta. Tu poco fa eri per me un’affannosa noia e ora sei oggetto di amore e preoccupazione non lieve. Evita le acque che scorrono in mezzo alle splendide Cicladi.


Figure retoriche della nave in tempesta di Alceo

  • ἄμμες (…) φορήμμεθα: soggetto e verbo in enjambement per conferire ulteriore enfasi alla scena
  • νᾶϊ (…) σύν μελαίνᾳ: iperbato e anastrofe per mettere in ulteriore risalto la centralità dell’immagine della nave, per la quale è usata un’espressione omerica (nave nera)
  • χείμωνι (…) μεγάλῳ: iperbato
  • πὲρ (…) ἔχει: tmesi e iperbato
  • λαῖφος δὲ πὰν ζάδηλον ἤδη, / καὶ λάκιδες μέγαλαι κὰτ αὖτο: ellissi del verbo per rendere ancor più vivida e pittorica l’immagine e, al contempo, esprimere la concitazione e la rapidità della scena


Analisi: Analogie e Differenze

La situazione è sostanzialmente diversa per un motivo preciso: Alceo è sulla nave, Orazio è sulla riva. Mentre Alceo dice "non capisco se non siamo sballottati" e lui è sulla nave ed è in difficoltà insieme ai suoi compagni. Alceo, effettivamente parte attiva della vita politica del tempo, e la sua eteria è veramente coinvolta in prima persona, quindi Alceo piange, cioè sente sulla sua pelle la difficoltà della tempesta. Orazio guarda la nave e le raccomanda di tornare nel porto. Orazio si rivolge alla nave, sebbene l'immagine/l'allegoria della nave sia la medesima, è la situazione descritta che è la medesima, ma il punto di vista è completamente diverso. Questo perché Orazio fa parte dell'attrazione di Mecenate e quindi non è affatto coinvolto, non si occupa di politica, si preoccupa per lo stato come si potrebbe occupare un normale cittadino che però ha delegato a qualcun altro. L’ode di Orazio è citata da parte di Quintiliano come un esempio di allegoria. La nave, che già Quintiliano, che è un retore latino, aveva intuito l'importanza di questa allegoria, sta per lo stato, le onde e la tempesta sono le guerre civili, il porto è la pace e la Concordia. Bruno Gentili, nella sua traduzione, riprende, analizza appunto la metafora della, in questa chiave di lettura simbolica, tempesta che aggredisce la nave diviene nella sua globalità la manifestazione visibile ed emblematica della discordia civile che travolge la città di Metilene, quindi la tempesta è la trasfigurazione pratica. In Orazio c'è anche questo senso di distanza, non c'è questa immediatezza, c'è il tempo che ha posto distanza fra le guerre civili e oggi. Se è vero che l'allegoria è una metafora continuata, capiamo la differenza sostanziale che c'è fra metafora ed allegoria. L'allegoria è una metafora raccontata, una metafora continuata, cioè è un racconto metaforico. Per questo la Divina Commedia è un poema allegorico, perché è contenuta una metafora raccontata ed ogni suo elemento deve avere una funzione conoscitiva e la comprensibilità è la condizione preliminare della credibilità nell'ambito della consorteria degli eroi.


I venti, le onde, l'acqua della sentina, le sardi e i Simoni, le scotte, il carico della nave sono le immagini sensibili attraverso le quali il poeta comunica all'uditorio l'estrema gravità di una situazione, la furia di uno scontro a cui difficilmente si potrà resistere. L'onda metaforizza il movimento, è il luogo dei guerrieri. L'acqua che penetra nella sentina della nave denota anch'essa l'onda degli uomini armati che irrompono nella città, i timoni, la vela sono simboli della nave. L'allegoria accresce con i suoi semi valutativi ed emotivi la portata di senso degli enunciati, i cui i modi d’enunciazione variano nella prospettiva prima dell'io e poi del noi e poi di nuovo dell'io parlante, questo è importante. In Alceo il parlante svolge la duplice funzione di chi vive, cioè di chi parla e di chi vive con chi ascolta. Il parlante e l’ocutore sarebbero l'autore e colui al quale è rivolto l'enunciato, il parlante è colui che enuncia. In Alceo il parlante e l’ocutore sono la stessa cosa, si trovano nella stessa situazione perché il poeta è sulla nave insieme ai suoi compagni. Il parlante svolge il duplice ruolo di chi vive con l’ocutore la vicenda stessa, che la vive mentre la descrive e la vive insieme alle persone a cui rivolge quell’appello. Il poeta è frastornato, ha perduto l'orientamento, non è in grado di capire in quale direzione spingono i venti, un'onda aggredisce la nave da una parte e dall'altra ed egli è con i suoi compagni. Alceo scrive questa poesia ancora a Mitilene perché è coinvolto in prima persona nelle vicende che raccontano. Orazio è comodamente seduto, guarda la nave, la invita a rifugiarsi nel porto, si vede che è sulla riva, si rivolge alla nave e non è insieme ai compagni.

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