Carpe Diem: Un'analisi dell'Ode I, 11 di Orazio
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Introduzione
Questa è una delle odi più famose di Orazio, e non solo per la celebre esortazione carpe diem che la conclude. In pochi versi, caratterizzati da una struttura sintattica lineare e scorrevole, il poeta condensa i punti salienti dell'etica epicurea, rielaborandoli in immagini evocative e semplici. L'incertezza della vita umana, la brevità del tempo, la vanità delle ansie e delle speranze, la ricerca della quiete nel riparo degli affetti si compongono con naturalezza in un quadro conviviale, suggerito con brevi squarci. Il tono amichevole e colloquiale coinvolge immediatamente il lettore per mezzo dell'allocuzione diretta che apre l'ode, indirizzata a una seconda persona, Leuconoe, che costituisce il tramite di immedesimazione per il lettore.
L'inquietudine di Leuconoe
L'inquieta Leuconoe, la ragazza «dai candidi pensieri» (dal greco leukòs, «bianco», e nóos, «mente»), si pone le stesse domande alle quali anche noi vorremmo avere risposte. Ma l'unica risposta possibile all'irrimediabile precarietà dell'esistenza non sta nel futuro, sta nel presente. Oggi bisogna vivere, del domani, si sa, non v'è certezza.
Non chiedere ciò che non puoi sapere
Il sostantivo finem (v. 2) sottintende vitae, quindi l'espressione può significare «sorte», «destino». Nefas, sottinteso est, indica ciò che «non è consentito» secondo le leggi divine: voler conoscere a tutti costi il futuro è una trasgressione ai limiti che gli dèi hanno posto alla conoscenza umana. Il tono rimane colloquiale e scherzoso, anche perché l'espressione ha un valore quasi formulare. L'abitudine di consultare indovini e astrologi era diffusa a Roma, e per questo il pronome personale soggetto in apertura dell'ode assume valore enfatico: «Tu non farlo, lascia pure che lo facciano gli altri...». Il primo verso è incorniciato dal poliptoto Tu ... tibi, che crea intimità fra il poeta e Leuconoe, il cui nome è collocato in posizione di rilievo, nel coriambo centrale del secondo verso. La risposta alle inquietudini della ragazza è contenuta nella breve esclamativa che chiude il v. 3.
Le tempeste della vita
Al v. 4, il termine hiems significa «anno», ma si riferisce anche al momento in cui l'ode è ambientata: è inverno, c'è tempesta, come indicato dall'avverbio temporale nunc, che conferisce immediatezza visiva all'immagine del mare Tirreno che si frange contro le scogliere. La scelta del verbo debilitare, e del sostantivo pumex, «pietra pomice», sottolinea la valenza metaforica della tempesta che «sfianca» il mare in un'eterna lotta, dalla quale persino le rocce vengono modellate. Contro l'infuriare delle contrarietà, l'unico antidoto è la quieta saggezza simposiale suggerita dai tre congiuntivi esortativi sapias, liques, e eseces (vv. 6-7). Al v. 6, spatio brevi può essere inteso con valore di luogo, oppure come ablativo assoluto («poiché il tempo è breve»), oppure come dativo («togli al tempo, che è breve»): l'antitesi rispetto a spem longam è sottolineata dall'allitterazione.
Cogli il tempo che fugge
Ai vv. 7-8, la correlazione presente - futuro anteriore (loquimur - fugerit) e l'enjambement (invida / aetas) esprimono l'inarrestabile fuga del tempo. L'aggettivo credula è riferito a Leuconoe: l'espressione riprende il motivo iniziale dell'interrogativo sul futuro, chiudendo l'ode con una perfetta Ringkomposition («composizione ad anello»).