Analisi dell’effetto fotoelettrico
Einstein ipotizzò quindi che la radiazione elettromagnetica fosse composta da corpuscoli, o quanti d’energia, detti fotoni. Egli utilizzò il modello corpuscolare per spiegare alcuni esiti degli esperimenti sull’effetto fotoelettrico, di cui la teoria classica non riusciva a rendere ragione. L’effetto fotoelettrico rappresenta l'emissione di elettroni da una superficie, solitamente metallica, quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica avente frequenze opportune. Nel 1900 Lenard indagò su quest’effetto utilizzando un apparecchio il cui disegno schematico è
rappresentato in figura.
Quando la luce colpisce il catodo C, vengono emessi elettroni; il numero di elettroni cheraggiungono l’anodo A è misurato dalla corrente dell’amperometro. L’anodo può essere resopositivo o negativo rispetto al catodo per attrarre o respingere gli elettroni. L’esperimento, al variaredell’intensità della luce e della sua frequenza, forniva 3 risultati particolari:
1. Esiste una frequenza di soglia (ν0) tale che, per ν < ν0, la corrente misurata è sempre uguale a zero
2. A parità di frequenza, al crescere dell’intensità della luce aumenta la corrente massima ma non varia il potenziale d’arresto ( potenziale che diminuisce la positività dell’anodo in modo da frenare gli elettroni)
3. Anche sé l’intensità della luce è molto bassa, il passaggio della corrente si registra in tempi piccolissimi
Analisi classica dei risultati:
· L’ energia di un campo elettromagnetico è espressa solo in funzione dell’ampiezza del campo elettrico e del campo magnetico che lo compongono, e non dalla frequenza (punto 1)
· Il potenziale d’arresto è tale che ΔEcelettrone = ΔEp; ci si aspettava quindi che, sé aumentava l’intensità della luce, aumentava il potenziale d’arresto (punto 2)
· Ci si aspettava che, sé l’intensità della luce era troppo piccola, ci potessero essere anche ritardi di ore fra il momento di accensione della luce e il momento in cui si registrava il passaggio degli elettroni (punto 3)
Per Einstein l’energia al catodo non arrivava in continuità, ma a “pacchetti” il cui contenuto energetico è proporzionale alla frequenza. L’interazione fotone-elettrone doveva essere nel rapporto 1:1.
Sé ν = ν0: hν = eVestrazione(Vestrazione è il potenziale d’estrazione; dipende dalla natura chimica del catodo)Sé ν > ν0: hν = eVestrazione + (mv2)/2Per fermare l’elettrone serve un potenziale d’arresto tale che eVa = (mv2)/2; quindi:hν = eVestrazione + eVarresto
Questa è nota come l’equazione fotoelettrica di Einstein. Da questa si può ricavare che la pendenza di Varresto in funzione di ν è h/e.
L’equazione fotoelettrica di Einstein fu una previsione audace, perché al tempo in cui fu presentata non c’era alcuna prova che la costante di Planck fosse utilizzabile in situazioni diverse dalla radiazione del corpo nero, e non esistevano dati sperimentali sul potenziale d’arresto in funzione della frequenza. La verifica sperimentale dell’equazione risultò alquanto difficile. Esperimenti accurati effettuati da Millikan, mostrarono che l’equazione di Einstein era corretta e che le misure di h erano in accordo col valore trovato da Planck.