Ermeneutica Giuridica Medievale: Dialettica, Topica e Integrazione del Diritto

Classificato in Filosofia ed etica

Scritto il in italiano con una dimensione di 6,63 KB

2. Discorso e Struttura dell'Interpretazione

Tutto l'aggiornamento e la sistematizzazione del diritto doveva essere in vigore in virtù di un'interpretazione del diritto romano-giustinianeo. Il pensiero giuridico medievale tendeva a identificare il diritto con la volontà del legislatore. La lettura dei testi romanzi e il corso della vita politica del tempo promossero una concezione statalista del diritto, da cui derivò il pensiero che il re avesse il monopolio assoluto di emissione [normativa].

La realtà di un sistema giuridico si basava su standard ricondotti a una tradizione di grande autorità, e l'avvocato, partendo dal testo giuridico, doveva intraprendere il compito di ottenere una regolamentazione legale più severa per la nuova realtà sociale.

Così, gli obiettivi della conoscenza giuridica coincidevano con l'interpretazione, il cui scopo era scoprire la sua rilevanza giuridica e razionale.

L'interpretazione tendeva a diventare una scoperta, la scoperta dei principi giuridici fondamentali nella pratica e cultura del tempo. Questo lavoro consisteva nel dire al legislatore ciò che in nessun modo voleva dire, utilizzando i necessari mezzi logico-dialettici appropriati.

2.1. L'Opposizione dello "Spirito" alla "Lettera" della Legge

Il primo modo di procedere con un'interpretazione innovativa fu l'opposizione tra il testo e il suo Spirito (della legge), attribuendo un valore decisivo a quest'ultimo.

Questa distinzione si basava sui principi fondamentali della filosofia medievale del linguaggio. L'attribuzione di un valore decisivo allo spirito della legge avveniva sia nella parte superiore paolina che sul precetto del Digest.

Questa procedura si giustificava solo in presenza di difficoltà interpretative che impedivano di risolvere alcuni testi letteralmente, di fronte agli interessi di regolamentazione degli interpreti. L'interprete creava una regola che non poteva essere accolta per intero, affermando che superava la volontà razionale del legislatore e interpretandola in parte, senza applicarla in alcuni casi. In altre situazioni, invece, estendeva la norma giuridica a casi che non erano inizialmente previsti.

2.2. L'Interpretazione Logica

L'interpretazione logica era una procedura ermeneutica inizialmente applicata alle Scritture e si poneva come uno stato intermedio tra il letterale e lo spirituale. L'interpretazione logica partiva dal testo, ma lo considerava l'espressione di un'idea generale dell'autore che, pur non essendo presente altrove nella sua opera, doveva essere compresa tramite la sua integrazione nel contesto.

Questa integrazione permetteva di isolare ed estrarre le idee ispiratrici di ogni contesto normativo, le quali costituivano il supporto indispensabile per l'interpretazione di una disposizione specifica.

L'indagine dell'intendimento di fondo veniva raggiunta attraverso:

  • La definizione;
  • La divisione;
  • L'analogia.

Queste procedure erano in grado di isolare l'essenza degli istituti, degli enti o delle ampie figure giuridiche in cui ricadevano, le loro caratteristiche specifiche rispetto ad altri istituti dello stesso genere e le analogie formali o sostanziali che li tenevano insieme.

Tutto ciò avveniva entro i limiti dell'interpretazione che utilizzava la logica e le regole logico-dialettiche di Aristotele. Sotto l'apparenza di un'interpretazione logica, la dottrina svolgeva un lavoro creativo: “costrinsero” i testi con l'ausilio di strumenti logico-dialettici meticolosamente, costruendo un sistema di concetti giuridici adeguati per soddisfare le esigenze del momento. È essenziale evidenziare come il lavoro dei commentatori ribadisse la posizione di dipendenza dal testo e il progressivo allontanamento dall'impostazione originale delle regole stabilite.

2.3. L'Uso della Dialettica Aristotelico-Scolastica e la Topica

L'interpretazione logica comportò l'utilizzo di una logica strumentale dialettica molto complessa, che rendeva possibile la produzione sistematica di un diritto di natura sistematica e persino contraddittoria. Questo strumento fu rafforzato dalla dialettica aristotelico-scolastica.

Secondo la tradizione aristotelico-ciceroniana, la dialettica è l'arte di discutere. La discussione è definita sia da un punto di vista formale che materiale.

Il Ruolo dell'Argomentazione

Se non ci sono temi dialettici o dichiarazioni vere che stabiliscano in modo definitivo le questioni, si possono sempre risolvere i problemi da diversi punti di vista, verso una soluzione basata su argomenti diversi, e addirittura, in alcuni casi, opposti.

  • L'argomento è una riflessione su un tema oggetto di studio, affrontato tenendo conto di diverse considerazioni.

Il compito più importante della teoria della discussione è trovare il punto di vista, gli argomenti, da cui i problemi possono essere presi in considerazione. I punti di vista che dirigono l'adozione degli argomenti sono contrassegnati con il nome di luoghi o topoi (argomenti).

L'Integrazione Normativa

Il pensiero giuridico del Medioevo utilizzò i processi dialettici e i metodi proposti dalla topica per trovare argomenti. Il grande lavoro del pensiero giuridico di questo tempo fu l'integrazione del diritto romano, canonico, feudale e comunale in un unico sistema.

Ciascuna di queste giurisdizioni aveva i propri punti di vista e la propria fonte di legittimità; gli ordini erano contraddittori, ma sostanzialmente autonomi. La loro compatibilità in un unico ordine costituì un compito tipico dell'arte della discussione, che, partendo da diverse prospettive, cercava di raggiungere un consenso tra loro.

La pratica di organizzare la discussione su principi consensuali più generici, in quanto consenso più ampio, stava diventando sempre più superficiale: l'accordo non verteva su aspetti specifici del contenuto, ma era organizzato intorno a formule generali prive di riferimenti specifici.

La teoria del discorso e la metodologia giuridica erano consapevoli della debolezza delle formulazioni troppo generiche e insistevano sul fatto che:

  • “Dalla regola generale non si può estrarre una specifica soluzione giuridica, ma che si deve dedurre la regola”;
  • “Ogni definizione generica è pericolosa”.

Le scuole tardo-medievali sostennero lo sviluppo di tali principi giuridici generali che sarebbero poi stati adottati dalle scuole di diritto come postulati del diritto razionale.

Voci correlate: