L'Europa tra le Due Guerre: Ascesa dei Regimi Totalitari e Crisi del Dopoguerra

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Il Dopoguerra in Italia: Contradizioni e Divisioni

Il periodo del dopoguerra in Italia fu caratterizzato da profonde contraddizioni e divisioni sociali e politiche:

  • I Nazionalisti ritenevano che le conquiste territoriali non fossero all’altezza delle aspettative e che l’Italia fosse stata tradita dai propri alleati.
  • I Socialisti criticavano la crisi economica, causata da una guerra neanche voluta dalle classi operaie.
  • La Medio-Piccola Borghesia era colpita dalla crisi e temeva il declino sociale.
  • Gli Industriali e Agrari erano preoccupati che il malcontento generale potesse avere uno sbocco rivoluzionario.
  • Gli Ex Combattenti avevano ruoli inferiori, chiedevano maggiore considerazione ed erano pronti ad applicare la violenza imparata sul fronte.

I partiti politici si trovarono incapaci di risolvere i gravi problemi che affliggevano il paese. Le forze liberali non erano riuscite a dar vita a un nuovo partito moderno. Si assistette all’ascesa di due partiti principali: quello socialista e quello di stampo cattolico, ma soprattutto alla nascita del movimento fascista.

La Nascita di Nuovi Partiti

Il Partito Popolare Italiano (1919)

Il Partito Popolare Italiano (PPI), di ispirazione cattolica, fu fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo con il consenso di Papa Benedetto XV. I suoi obiettivi includevano:

  • Riforma agraria;
  • Nascita della Confederazione Italiana dei Lavoratori;
  • Introduzione del sistema elettorale proporzionale (in sostituzione di quello uninominale);
  • Estensione del voto alle donne;
  • Maggiore autonomia locale e regionale.

Il Partito Socialista Italiano (PSI)

Nel Partito Socialista Italiano (PSI) prevalse la corrente massimalista (rivoluzionaria), in sintonia con le classi operaie e in opposizione a quelle borghesi, ma che non era in grado di offrire un piano d’azione concreto. La parte riformista, invece, era più in sintonia con la borghesia e non perdeva l’occasione di sottolineare che il partito non avrebbe dovuto rinunciare all’uso degli strumenti che il sistema democratico poteva offrire. Questa corrente controllava il sindacato di ispirazione socialista, la Confederazione Generale del Lavoro (CGL).

Si formò una nuova corrente legata al giornale L’Ordine Nuovo, formata da intellettuali, che sollecitava la formazione di un partito rivoluzionario che doveva combattere per il proletariato attraverso i consigli di fabbrica. In questa situazione difficile, si affermò Benito Mussolini, che aveva fondato il giornale Il Popolo d’Italia e riuscì a convincere e a portare dalla sua parte nazionalisti, ex combattenti, sindacalisti e giovani della borghesia, con i quali fondò i Fasci di Combattimento. Il programma fascista si caratterizzava per: nazionalismo, instaurazione della repubblica e misure anticapitaliste. Gli aspetti fondamentali del primo fascismo erano: nazionalismo, esaltazione della violenza e antiparlamentarismo.

I Primi Atti di Violenza Fascista

Il 15 aprile 1919, durante lo sciopero generale di Milano, i fascisti saccheggiarono e incendiarono la sede de L’Avanti!, quotidiano del Partito Socialista.

La "Vittoria Mutilata" e il Senso di Frustrazione

Il senso di frustrazione e delusione, noto come "Vittoria Mutilata", derivava da diversi fattori:

  • Il paese non era riuscito a ottenere tutti gli ampliamenti territoriali desiderati;
  • I rappresentanti italiani chiesero il rispetto del Patto di Londra che assegnava all’Italia la Dalmazia, ma ciò andava contro il principio di nazionalità (regione abitata da popolazioni slave);
  • Furono avanzate richieste sulla città di Fiume, che veniva ora rivendicata per il principio di nazionalità;
  • Alle richieste italiane si contrapposero il presidente americano Wilson (difensore del principio di nazionalità), la Francia e la Gran Bretagna, contrarie all’aumento dell’influenza italiana nell’Adriatico.

Tra l’11 e il 12 settembre 1919, Gabriele d’Annunzio partì da Ronchi per occupare la città di Fiume, dove instaurò un governo provvisorio.

Il 16 novembre 1919 si tennero le prime elezioni politiche con il nuovo sistema. Il governo liberale aveva fatto approvare dal Parlamento una riforma elettorale che prevedeva l’estensione del suffragio universale maschile a tutti i cittadini che avessero compiuto 21 anni e l’introduzione del sistema elettorale proporzionale (al posto di quello uninominale). I risultati delle elezioni evidenziarono la crisi del liberalismo e la netta affermazione dei partiti di massa: il Partito Socialista (156 seggi) e il Partito Popolare (100 seggi).

Il "Biennio Rosso" (1919-1920)

Il periodo tra il 1919 e il 1920, noto come "Biennio Rosso", fu caratterizzato da scioperi e manifestazioni diffusi in tutto il territorio italiano. I lavoratori richiedevano la riduzione della giornata lavorativa e l’aumento dei salari, mentre gli industriali rifiutavano ogni concessione.

Tra agosto e settembre 1920 si raggiunse l’apice delle agitazioni: i lavoratori del Nord, aderenti al sindacato FIOM, procedettero all’occupazione di molte fabbriche, organizzando produzioni e lavoro secondo l’autogestione. Si stabilirono i consigli di fabbrica. Nel Centro-Nord, i braccianti (organizzati nelle "leghe rosse" e "bianche" della Federazione dei Lavoratori della Terra) chiedevano aumenti salariali e maggiore stabilità occupazionale. Nel Mezzogiorno, si manifestò la volontà di redistribuire le terre con l’occupazione delle terre incolte.

Intervenne Giovanni Giolitti, riprendendo la sua vecchia strategia politica: mantenne lo Stato fuori dal conflitto (non intervenendo per fermare le agitazioni) e spinse le parti a trovare un accordo, che fu raggiunto tra il 12 e il 27 settembre 1920, ma lasciò insoddisfatti tutti. Il 12 novembre 1920, il governo italiano firmò con la Jugoslavia il Trattato di Rapallo, che dichiarava Fiume città libera; d’Annunzio rifiutò di abbandonare la città e dovettero intervenire le autorità.

L’esito fallimentare delle proteste del 1920 aveva fortemente indebolito il Partito Socialista, tanto che la parte minoritaria uscì dal partito, creando il Partito Comunista d’Italia (PCI) nel 1921, che aderì alla Terza Internazionale (Comintern, fondata nel 1919).

L'Ascesa del Fascismo e la Violenza Squadrista

Mussolini diede vita nel 1919 alle squadre d’azione (le "camicie nere"), che intervenivano per bloccare gli scioperi, assalivano le cooperative, le sedi dei partiti e dei giornali socialisti, con l’uso sistematico della violenza. La situazione peggiorò quando a Bologna, i fascisti attaccarono Palazzo d’Accursio, sede del comune, mentre si stava riunendo la giunta socialista. Il governo e le istituzioni locali si dimostrarono però indifferenti.

Giolitti era convinto che il fascismo potesse essere facilmente riassorbito dalle istituzioni. Per questo, decise di indire nuove elezioni nel maggio 1921. I liberali costituirono alleanze che comprendevano nazionalisti e fascisti (i cosiddetti "Blocchi Nazionali") per bloccare l’ascesa dei socialisti e dei cattolici. Questa strategia portò ai liberali un discreto successo e permise l'ingresso dei fascisti in Parlamento (35 deputati, tra cui Mussolini). I popolari e i socialisti mantennero le loro posizioni. Ne conseguì inoltre la caduta del ministero Giolitti. I fascisti riuscirono a entrare in Parlamento grazie all’appoggio della piccola borghesia, che cercava un proprio spazio sociale, e dei grandi borghesi e industriali, che sentivano minacciate le proprie proprietà private (in seguito all’occupazione di terre e fabbriche). I ceti possidenti erano convinti di poter liquidare il movimento strumentalizzandolo in senso antifascista.

Dall’esigenza di riprendere in mano le redini del movimento, Mussolini creò il Partito Nazionale Fascista (PNF) nel 1921. A livello locale, i capi squadristi tentavano di rivendicare un ruolo autonomo e radicalizzare la loro azione al di là delle intenzioni di Mussolini. Egli riuscì così a riconfermarsi come capo e attuò una strategia dal duplice volto:

  • Ricorrere alla violenza politica;
  • Sfruttare i mezzi legali consentiti dai meccanismi parlamentari.

L’ascesa fascista fu resa possibile anche grazie all’incapacità del Partito Socialista, che richiese una collaborazione quando ormai era troppo tardi. Ci fu la scissione del Partito Socialista Italiano, dove i massimalisti espulsero i riformisti che formarono il Partito Socialista Unitario (PSU), guidato da Giacomo Matteotti.

La Marcia su Roma e la Presa del Potere (1922)

Tra il 27 e il 28 ottobre 1922, Mussolini, vedendo la possibilità definitiva di conquistare il potere, organizzò la Marcia su Roma, un vero e proprio colpo di stato che avrebbe permesso ai fascisti di ottenere il governo. Il Presidente del Consiglio Luigi Facta si preparò alla resistenza facendo ricorso all’esercito, ma quando presentò il decreto al sovrano Vittorio Emanuele III, questi si rifiutò di firmarlo, aprendo la strada al movimento fascista. Mussolini ottenne così l’incarico di formare un nuovo governo il 29 ottobre 1922, segnando la fine dell’Italia Liberale. Mussolini formò un governo di coalizione (fascisti, 3 liberali, 2 popolari, 2 democratici sociali, 2 esponenti delle Forze Armate e un indipendente).

Nonostante le prime dichiarazioni di Mussolini (che lo Statuto Albertino non sarebbe stato toccato, libertà di stampa ai partiti, seguaci che avrebbero rispettato la legge), egli continuava ad appoggiare le azioni illegali degli squadristi (spedizioni punitive e violenze) ai danni di qualsiasi organizzazione democratica di stampo cattolico o socialista.

Nel dicembre 1922, Mussolini istituì il Gran Consiglio del Fascismo, un organo che prendeva le decisioni politiche e limitava le funzioni parlamentari. Nel gennaio 1923, le squadre d’azione furono inquadrate nella nuova Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN).

Il Consolidamento del Regime Fascista

Economia e Nuove Elezioni

Inizialmente, il governo fascista e il ministro delle finanze Alberto De Stefani applicarono una politica economica liberista, con provvedimenti come la riduzione del disavanzo dello Stato e un notevole sviluppo dell’industria e dell’agricoltura. Nell’aprile 1924, Mussolini indisse nuove elezioni dopo aver fatto approvare la legge elettorale Acerbo, che reintroduceva il sistema maggioritario. Al fine di assicurarsi il successo, Mussolini volle che le operazioni elettorali si svolgessero sotto una forte intimidazione e consentì che i suoi incaricati commettessero brogli nello spoglio delle schede e violassero il segreto delle urne (il "listone" fascista ottenne il 64.9% dei voti).

L’opposizione chiese l’annullamento delle elezioni. La denuncia più importante delle irregolarità commesse fu pronunciata da Giacomo Matteotti, deputato e segretario del Partito Socialista Unitario. Il 10 giugno 1924, sicari fascisti lo rapirono e lo assassinarono. L’assassinio di Matteotti ebbe un forte impatto sull’opinione pubblica e causò, il 27 giugno 1924, la secessione dell’Aventino, ovvero uno "sciopero" dei partiti di opposizione in Parlamento. Questa azione, tuttavia, finì per aiutare il fascismo a distruggere definitivamente le forze democratiche.

Il 3 gennaio 1925, Mussolini, in un celebre discorso, rivendicò la responsabilità politica del delitto Matteotti e diede inizio al processo di smantellamento dello Stato liberale e alla costruzione del regime autoritario, basato su:

  • Soppressione di ogni libertà costituzionale;
  • Uso della forza contro ogni forma di opposizione e dissenso;
  • Intensificazione delle violenze squadriste, accompagnate da misure repressive contro gli avversari politici.

La Costruzione dello Stato Fascista: Le Leggi Fascistissime

La costruzione dello Stato fascista avvenne attraverso la promulgazione delle "leggi fascistissime" (promosse dal giurista Alfredo Rocco), finalizzate a rafforzare il governo e a superare la divisione dei poteri. Tra le principali novità introdotte:

  • Il Capo del Governo era responsabile di fronte al Re e non più di fronte al Parlamento;
  • Il Governo poteva emanare leggi;
  • Eliminazione del consiglio comunale e del sindaco, sostituiti dal podestà (che ricopriva entrambi i ruoli);
  • Per rafforzare il potere del governo a livello locale, furono ampliate le prerogative dei prefetti;
  • Furono dichiarati decaduti tutti i deputati dell’opposizione;
  • Fu sancito lo scioglimento dei partiti e dei movimenti di opposizione;
  • Fu introdotto l’obbligo per tutti i dipendenti pubblici di iscriversi al Partito Fascista (pena il licenziamento);
  • Fu istituito il confino (esilio) come sanzione per i soggetti ostili al regime;
  • Ripristino della pena di morte;
  • Istituzione del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato;
  • Soppressione di ogni libertà di stampa e di opinione.

Nel 1928 fu emanata una riforma elettorale che prevedeva che l’elettore dovesse votare su una lista unica nazionale, scelta dal Gran Consiglio del Fascismo (che nominava il Capo del Governo ed esprimeva il suo parere sulla successione al trono). Nel 1929 si tenne una consultazione plebiscitaria, con voto non più segreto e libero. Il Parlamento perse così la sua funzione rappresentativa, poiché non rappresentava più il popolo.

Nel 1939, la Camera dei Deputati venne sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Propaganda e Consenso

La propaganda di Mussolini mirava a distruggere ogni ricordo delle libertà civili nelle generazioni più anziane e a sopprimere la coscienza critica di quelle più giovani, così da ottenere un’obbedienza assoluta e totalizzante. A partire dal 1926, fu instaurato il culto della propria immagine, con Mussolini che assunse il titolo di "Duce".

Nel 1923 fu attuata la riforma della scuola (Riforma Gentile), che prevedeva una struttura centralizzata e gerarchica, con un’impronta militarista. La riforma fu completata con la creazione, nel 1926, dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), un’istituzione parascolastica, ginnico-sportiva e premilitare. Gli universitari furono inseriti nei Gruppi Universitari Fascisti (GUF), destinati a formare la futura classe dirigente. Fu creata anche l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND), che inquadrava uomini e donne pianificandone il tempo libero.

Nel 1937 fu istituito il Ministero della Cultura Popolare (MinCulPop).

Tra il 1927 e il 1930 fu creata una polizia politica segreta, l’Opera di Vigilanza e Repressione Antifascista (OVRA), dedicata alla ricerca e repressione degli antifascisti.

L’opposizione al fascismo, seppur clandestina, continuava con opere scritte e diffuse segretamente (ad esempio, il Manifesto degli intellettuali antifascisti, diffuso da Benedetto Croce, che si opponeva al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile; denunciava la deriva autoritaria del regime e riaffermava la libertà di pensiero e l’autonomia di giudizio). Nel 1929 nacque un nuovo gruppo antifascista, Giustizia e Libertà, fondato da Carlo Rosselli e Emilio Lussu, i cui membri avevano la volontà di conciliare i principi socialisti con quelli liberali. Il movimento fu però scoperto e avvenne l’assassinio di Carlo Rosselli insieme al fratello Nello, per mano dei fascisti.

Mussolini ritenne poi necessario fare un accordo con la Chiesa. Per questo, nel 1929, si giunse ai Patti Lateranensi con il pontefice Pio XI. Con essi, lo Stato italiano stabiliva che la religione cattolica era l’unica religione di Stato e riconosceva la piena autonomia e libertà al pontefice nello Stato della Città del Vaticano. Con la Convenzione Finanziaria, lo Stato italiano concedeva alla Chiesa un’ingente somma di denaro a compenso dei danni del 1870 (presa di Roma). Con il Concordato, invece, lo Stato garantiva alla Chiesa il libero esercizio del proprio culto nel territorio, esonerava i sacerdoti dal servizio militare, inseriva l’insegnamento della religione all’interno delle scuole e riconosceva gli effetti civili del matrimonio religioso.

Il regime diede poi appoggio all’alta finanza e alla grande borghesia, evitando di colpire i loro esponenti con forti tasse e soffocando le rivendicazioni degli operai. Con il Patto di Palazzo Vidoni (1925) e con il nuovo Codice Penale (Codice Rocco, 1930), vennero abolite le commissioni interne delle fabbriche, il diritto di sciopero e i sindacati liberi.

Si posero le basi per un ordinamento fondato sulle corporazioni, organi statali che riunivano datori di lavoro e lavoratori di tutte le categorie di produzione, subordinando gli interessi delle associazioni a quelli dello Stato. Si fondavano sul principio della collaborazione tra classi sociali; erano state create sia per opporsi alla lotta di classe socialista sia per il raggiungimento degli interessi nazionali. Vennero sancite nel 1927 con la Carta del Lavoro.

Politica Economica Fascista

Nel 1925, il ministro delle finanze Giuseppe Volpi abbandonò il liberismo e passò al protezionismo (inasprimento dei dazi sui cereali, creazione di ostacoli per gli investimenti di capitali esteri, aumento delle tariffe doganali). Questa scelta rispondeva alla necessità di limitare la dipendenza dall’estero, aumentare il prestigio nazionale e stabilizzare il regime attraverso un risanamento dell’economia.

Il fascismo rispose alla crisi del 1929 facendo diventare l’Italia uno "Stato Imprenditore". Creò l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), che concedeva fondi pubblici alle industrie in fallimento, e fondò l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), con il quale lo Stato acquisì molte azioni di importanti industrie di ogni settore. Intervenne inoltre nel sistema di alcune banche, che divennero a partecipazione statale. Tutto ciò favorì la formazione di grandi concentrazioni di imprese per il controllo del mercato.

Un altro aspetto della politica interventista dello Stato nell’economia fu l’imposizione dell’autarchia (chiusura economica da parte degli Stati che rifiutavano gli scambi con l’estero e miravano all'autosufficienza), con l'obiettivo di mettere l’Italia in condizione di produrre da sola e raggiungere l’autosufficienza economica.

La "Battaglia della Lira" (o "quota novanta") fu una rivalutazione della lira (riportarla sul mercato dei cambi a quota novanta nei confronti della sterlina). Serviva a: difendere il paese dall’inflazione, assicurare i ceti medi e ridurre i costi delle importazioni di materie prime. Causò però un rallentamento della produzione, un calo delle esportazioni, minori guadagni, un blocco dello sviluppo delle imprese industriali, ristagno (brusca riduzione delle importazioni e delle esportazioni), licenziamenti e disoccupazione.

La "Battaglia del Grano" mirava allo sviluppo della produzione cerealicola per ridurre il disavanzo commerciale dei pagamenti con l’estero. La "Battaglia della Palude" (o bonifica integrale) prevedeva il risanamento delle zone malsane e lo sviluppo dell’agricoltura con lavori di irrigazione, bonifica e risanamento di vaste aree (es. Paludi Pontine), portando alla fondazione di nuove città come Littoria (oggi Latina) e Pomezia. Il fascismo promosse inoltre una serie di lavori di pubblica utilità per migliorare la vita della popolazione, garantire l’impiego dei disoccupati e modernizzare il paese. La "Battaglia Demografica" consisteva in provvedimenti per aumentare la popolazione, al fine di migliorare la potenza militare del paese. Si sviluppò anche una politica sociale fascista: nel 1925 fu introdotta l’Opera Nazionale per la Maternità e l’Infanzia (ONMI), che migliorava l’assistenza sociale e medica e doveva contribuire all’abbassamento dei tassi di mortalità infantile.

La Politica Estera Fascista

Fase Iniziale (1922-1926)

Tra il 1922 e il 1926, Mussolini dimostrava di volere un’atmosfera di pace, considerata una strada obbligatoria per consolidare il regime e migliorare l’immagine dell’Italia. L’Italia rinsaldò i rapporti con la Gran Bretagna, mentre si dimostrò ostile verso la Francia, contraria a ogni rivendicazione territoriale italiana.

Fase Aggressiva (1926-1935)

Tra il 1926 e il 1935, Mussolini sentiva di potersi affermare anche oltre confine, perciò incoraggiò il militarismo nei paesi dove stavano nascendo regimi fascisti. Questo inasprì i rapporti con la Francia, che di conseguenza rinnovò i legami già esistenti con la Gran Bretagna, mettendo in difficoltà l’Italia. Nel 1932, la politica estera accentuò il carattere bellicista. L’ascesa del nazionalsocialismo di Hitler in Germania determinò una radicalizzazione degli schieramenti politici europei, dove ormai era evidente una contrapposizione tra Stati liberal-democratici e regimi totalitari.

Le alleanze dell’Italia si spezzarono quando Mussolini diede inizio all’espansione in Etiopia il 3 ottobre 1935. L'invasione fu giustificata come una "missione civilizzatrice" e con la necessità per l’Italia di avere un "posto al sole", cioè un impero coloniale come le altre potenze. L'Etiopia era uno Stato indipendente retto dal negus Haile Selassie.

L’obiettivo del Duce era quello di ottenere un’affermazione in una delle poche aree rimaste ancora indipendenti dalle potenze occidentali e dimostrare la solidità del regime fascista (pensava inoltre di trasferirvi la manodopera e sfruttare le ricchezze di materie prime). Il tentativo di conquista non poteva lasciare indifferenti Gran Bretagna, Francia e la Società delle Nazioni (di cui l'Etiopia era Stato membro).

Dopo un mese dall’inizio della campagna, la Società delle Nazioni dichiarò l’Italia colpevole di aggressione e applicò gravi sanzioni economiche che imponevano agli Stati membri il blocco della fornitura d’armi, il rifiuto di prestiti e l’acquisto di merci italiane. La campagna fu più lunga del previsto a causa delle guerriglie della popolazione locale e per la vastità e asperità del territorio; fu condotta con estrema brutalità.

Il 9 maggio 1936, Mussolini annunciò la fine della guerra e la nascita dell’Impero dell’Africa Orientale Italiana. Il Duce ottenne il massimo consenso e molta popolarità, dimostrando che la violenza era uno strumento efficace sia a livello interno che esterno.

La guerra costò all’Italia un isolamento europeo. Per questo, Mussolini si alleò con la Germania nell’ottobre del 1936 con l’accordo "Asse Roma-Berlino" (che non era una vera e propria alleanza, ma riconosceva il rapporto sempre più stretto tra i due paesi). L’Europa si trovava ormai divisa in due blocchi contrapposti, con il fronte alleato della Prima Guerra Mondiale ormai spezzato. Mussolini, preoccupato che l’alleanza gli togliesse ogni capacità di iniziativa, rafforzò la posizione dell’Italia sul Mediterraneo. Il 7 aprile 1939, l’esercito italiano occupò l’Albania.

Il 14 luglio 1938 fu pubblicato il "Manifesto della Razza", che dichiarava l’adesione del fascismo alle teorie razziste. Da qui furono emanati vari decreti legge, noti come "leggi razziali", i cui presupposti erano specificati all’interno della "Dichiarazione sulla Razza" pubblicata dal Gran Consiglio del Fascismo il 7 ottobre 1938. L’obiettivo era la discriminazione e la persecuzione nei confronti degli ebrei.

La Germania: Dalla Repubblica di Weimar all'Ascesa del Nazismo

La Nascita della Repubblica di Weimar

Il primo conflitto mondiale aveva logorato la Germania sotto ogni aspetto. Di fronte alle agitazioni, l’imperatore abdicò e il 9 novembre 1918 veniva proclamata la repubblica, con un governo provvisorio guidato da Friedrich Ebert (esponente del Partito Socialdemocratico). Il nuovo governo firmò l’11 novembre 1918 l’armistizio con l’Intesa a Compiègne. Il nuovo governo, tuttavia, non era in grado di mantenere l’equilibrio nel Paese e aveva perso credibilità a causa dell’accettazione dell’armistizio (con condizioni durissime) che poi si tradusse in un trattato di pace. Il governo non trovava nemmeno sufficienti appoggi.

Per questo, nel gennaio 1919, ci fu il primo attacco del Partito Comunista Tedesco (unione di gruppi tra cui spiccava la Lega di Spartaco, fondata nel 1916), che tentò il 5 gennaio 1919 una via rivoluzionaria scendendo in piazza a Berlino con l’appoggio degli operai. Le agitazioni furono represse nel sangue dal governo con la collaborazione dell’alta finanza e dell’esercito (la "settimana di sangue" dal 6 al 13 gennaio). Per sedare le rivolte, il governo impiegò i gruppi paramilitari "Corpi Franchi" (Freikorps), reduci volontari guidati da ex ufficiali.

L’Assemblea Costituente si riunì a Weimar ed elaborò una nuova costituzione (agosto 1919). La Germania diventava una repubblica federale composta da regioni ("Länder") con elevata autonomia. La costituzione prevedeva il suffragio universale maschile e femminile; ampi diritti civili, politici e sociali; la centralità del Parlamento (Reichstag), che era l’organo sovrano a cui spettava il potere legislativo. C’era la presenza di un Cancelliere (primo ministro) che rispondeva al Parlamento del proprio operato e veniva nominato da un Presidente, eletto ogni 7 anni dal popolo, che poteva sospendere, in caso di emergenza, le libertà civili e garantire con qualsiasi misura o strumento l’ordine, anche scavalcando il Parlamento (Art. 48).

Anche i gruppi di estrema destra (ultraconservatori) tentarono un colpo di stato (il "Putsch di Kapp" nel 1920); organizzarono attentati terroristici ai danni degli uomini politici.

Crisi Economica e Iperinflazione

La situazione economica postbellica era disastrosa, resa insostenibile dalle numerose richieste di risarcimento di guerra dei paesi vincitori. Il governo era paralizzato dalla crisi economica e monetaria. L’inflazione era elevatissima, causata dalla chiusura delle imprese tedesche dai mercati tradizionali (invasi dai prodotti dei paesi dell’Intesa) e dall’impossibilità per la produzione di trovare sbocco nelle colonie (ormai perdute). L’inflazione aumentò, portando a un deprezzamento del marco e a un aumento esponenziale dei prezzi. L’iperinflazione e la disoccupazione portarono al collasso economico e a un grave abbassamento della qualità della vita.

Nel gennaio 1923, la Francia occupò il bacino minerario della Ruhr, regione fondamentale per la ripresa tedesca. Il gesto inasprì il risentimento dei tedeschi ed esasperò il nazionalismo e le correnti di destra.

(Nella Repubblica di Weimar, vi fu anche una notevole fioritura di attività intellettuali e artistiche, che portarono alla creazione del Bauhaus, una scuola d’arte che influenzò profondamente la cultura europea del ventesimo secolo).

L'Ascesa di Hitler e il Nazionalsocialismo

Nel gennaio 1919 si costituì a Monaco il Partito dei Lavoratori Tedeschi (di estrema destra), al quale aderì Adolf Hitler. Egli lo trasformò nel Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi (NSDAP) o Partito Nazista (il cui simbolo era la svastica), includendovi anche altri gruppi affini. Costituì nel partito una struttura paramilitare, le SA (Sturmabteilung, "reparti d’assalto"), la cui uniforme era una camicia bruna. Il partito si contraddistinse per i metodi terroristici e per l’uso sistematico della violenza contro i militanti di sinistra, con l’obiettivo di creare in Germania un regime autoritario. Hitler tentò un colpo di stato contro la Repubblica di Weimar, chiamato "Putsch di Monaco" (8 novembre 1923), che però fallì miseramente ed egli stesso fu arrestato (condannato a 5 anni di carcere, ne scontò meno di uno). Così, decise di cambiare strategia, puntando ora alla conquista legale del potere.

Il miglioramento della situazione economica avvenne grazie alle nuove relazioni diplomatiche e commerciali con l’Unione Sovietica e con l’intervento degli Stati Uniti, che con il Piano Dawes (1924) fecero affluire molti capitali in Germania e permisero la ripresa del sistema produttivo tedesco, reintroducendo le merci tedesche sui mercati internazionali.

Il miglioramento dei rapporti tra Germania e Francia continuò anche grazie al nuovo ministro degli esteri francese Aristide Briand, che intraprese una strada diversa rispetto ai suoi predecessori. Nel 1925 i due Stati firmarono il Patto di Locarno, dove ristabilivano definitivamente alcuni punti del Trattato di Versailles: i tedeschi riconobbero la cessione dell’Alsazia e della Lorena e si impegnarono a non modificare con le armi la nuova situazione. In questo modo, la Germania rassicurò le altre potenze sulla propria affidabilità e fu ammessa alla Società delle Nazioni.

Nel 1929, il banchiere americano Owen Young, presidente della commissione internazionale per le riparazioni di guerra, intraprese il nuovo Piano Young, che riduceva i risarcimenti dovuti dai tedeschi e permetteva loro di scaglionare le rate in 60 anni.

La Grande Depressione e l'Ascesa Definitiva del Nazismo

Le conseguenze della Grande Depressione del 1929 furono devastanti: il ritiro dei capitali stranieri provocò in Germania l’arresto delle attività industriali, con conseguenti fallimenti e una forte disoccupazione. Le conseguenze furono drammatiche soprattutto per i ceti medio-bassi. Rinacquero nella popolazione risentimenti che trovarono sfogo nel nazionalismo.

In questo difficile clima, il nazionalsocialismo di Hitler prevalse sui partiti moderati di Weimar. Riuscì a ottenere l’appoggio della grande industria, dell’alta finanza e dell’esercito, che gli offrirono grandi strumenti per formare il suo regime autoritario.

Nel settembre 1930, il nazismo ottenne un successo elettorale, ma i voti non erano ancora sufficienti per governare. Nel marzo 1932, Hitler si presentò come candidato alle elezioni presidenziali, ma senza successo a causa dell’avversario Paul von Hindenburg, esponente dei ceti militaristi e conservatori, sostenuto anche dai cattolici e socialdemocratici. Il Presidente Hindenburg, vedendo il successo conquistato dal nazismo nelle successive elezioni, prese l’iniziativa di chiamare Hitler a formare il nuovo governo, nominandolo Cancelliere il 30 gennaio 1933.

Dall’improvvisa notizia dell’incendio del Parlamento a Berlino (il Reichstag), e dalla voce che fosse stato un complotto comunista per prendere il potere, i nazisti diedero inizio a una politica fondata sul terrore (una vera e propria "caccia all’uomo"), infliggendo un colpo decisivo alla democrazia grazie a un decreto straordinario che limitava le libertà politiche e civili e poneva sotto controllo la stampa e i partiti politici.

Il 5 marzo 1933, il Presidente Hindenburg indisse nuove elezioni. Hitler venne confermato Cancelliere; egli si affrettò a far votare una legge-delega (23 marzo) destinata a concedere per quattro anni i pieni poteri al suo governo e ne approfittò per creare un regime totalitario. Venne vietata la formazione di nuovi partiti politici, riconoscendo come unico partito quello nazista (14 luglio).

Iniziava così la dittatura del "Führer" (capo), dove egli stesso eliminava con brutalità qualsiasi opposizione. Tale regime di terrore fu messo in atto con freddezza e ferocia attraverso la polizia segreta (Gestapo) e le SS (Schutzstaffel, "reparti di difesa", utilizzate soprattutto come guardie personali per la difesa di Hitler).

Nel 1933 furono organizzati i primi campi di concentramento dove rinchiudere gli avversari e gli oppositori, e venne creata la Suprema Corte Popolare per i casi di tradimento.

Fu avviata una campagna contro la cultura "non-tedesca" che consisteva nel distruggere i libri di tutte le epoche storiche (il primo rogo dei libri avvenne il 10 maggio 1933).

Hitler si trovò ad affrontare un’opposizione interna al partito sollevata da Ernst Röhm (capo delle SA), che risolse con un’epurazione del partito (la "Notte dei Lunghi Coltelli", tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934, in cui le SS uccisero Röhm e altri membri).

Quando morì Hindenburg (agosto 1934), Hitler ottenne il potere assoluto (diventò illegalmente sia Cancelliere che Presidente dello Stato), dando vita al "Terzo Reich". La Germania passò da essere uno Stato federale a uno Stato unitario. Lo Stato totalitario venne organizzato con il consenso e l’eliminazione delle opposizioni (esilio, persecuzione, eliminazione fisica). Hitler era considerato l’incarnazione della volontà del popolo tedesco, la fonte stessa del diritto e della legittimità. Al consolidamento del regime contribuì una forte propaganda (affidata a Joseph Goebbels). La popolazione attiva fu sottoposta a un rigido inquadramento nelle organizzazioni del Partito Nazista.

Il mito del capo carismatico fu consacrato dai successi in politica interna:

  • Hitler risollevò l’economia con una politica autarchica: la Germania rinunciava all’importazione delle materie prime e dei prodotti agricoli, mentre il risparmio veniva usato nell’industrializzazione con risultati eccezionali.
  • La politica estera nazionalista divenne molto aggressiva, mirata a restituire alla Germania il rango che le spettava. Il regime promosse una politica di riarmo. Avvenne un’espansione nazista (prima nei paesi considerati "naturalmente tedeschi") in Austria e nel territorio dei Sudeti. Hitler riteneva che questi paesi fossero parte dello "spazio vitale" (Lebensraum) irrinunciabile per la Germania; considerava la loro conquista come la prima tappa per il processo di espansione che avrebbe portato i tedeschi ad avere un’unica grande patria germanica (Pangermanesimo). Il rapporto tra le nazioni e i popoli nel nazismo si fondava su un feroce razzismo.

I Fondamenti dell'Ideologia Nazionalsocialista

I fondamenti dell’ideologia nazionalsocialista, contenuti nell’opera di Hitler Mein Kampf ("La mia battaglia"), includevano:

  • Rifiuto del sistema democratico;
  • Volontà di creare una "Grande Germania" attraverso le conquiste territoriali;
  • Principio della razza;
  • Principio dell’ineguaglianza, ritenuta legge fondamentale della natura (sottomissione delle masse ai capi e delle razze inferiori).

Il nazismo sosteneva la teoria della superiorità della razza ariana, alla quale veniva attribuito il merito del progresso dell’umanità e la cui purezza andava difesa contro ogni pericolo di contaminazione. Lo Stato nazista aveva dato inizio a un processo di purificazione per creare un solido gruppo razziale tedesco, incontrastato dalla presenza delle altre "razze impure". Lo Stato individuò come nemico principale il popolo ebraico (considerato come l’origine di tutti i mali del mondo). Iniziò per questo una politica che mirava alla progressiva e spietata persecuzione degli ebrei (considerati una "razza impura", un’"antirazza"). Vennero promulgate le leggi di Norimberga (1935), con le quali gli ebrei vennero privati della cittadinanza tedesca e venne imposto il divieto di matrimoni con cittadini tedeschi. Vennero obbligati a esibire in pubblico la stella gialla di David per essere sempre riconosciuti.

Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1938, la "Notte dei Cristalli" (Kristallnacht), in molte città tedesche vennero devastati negozi appartenenti a ebrei, sinagoghe e abitazioni; molti ebrei vennero uccisi, arrestati e internati. Le autorità naziste spinsero anche verso l’emigrazione. L’antisemitismo nazista trovò alimento anche in ragioni materiali: permetteva infatti ai tedeschi di appropriarsi dei patrimoni e dei beni di valore degli ebrei.

Hitler fece uscire la Germania dalla Società delle Nazioni. La potenza tedesca si consolidò successivamente grazie alla riannessione della Saar, regione mineraria sfruttata dalla Francia (dopo la decisione di Versailles). Hitler ruppe gli indugi anche sulla questione del riarmo: mentre sviluppava la produzione bellica, reintrodusse il servizio militare obbligatorio. Francia, Gran Bretagna e Italia si riunirono in un convegno a Stresa (Piemonte) nel 1935, condannarono l’iniziativa tedesca e stabilirono un’azione comune contro ogni violazione del Trattato di Versailles. Hitler non incontrò ostacoli quando ordinò alle sue truppe di insediarsi in Renania (1936).

Germania e Italia, nell’ottobre 1936, firmarono l’accordo "Asse Roma-Berlino". Trovarono inoltre il sostegno degli altri regimi dittatoriali e del Giappone, che aveva contribuito a peggiorare le sue relazioni internazionali con l'invasione della Manciuria (1931) e la conseguente uscita dalla Società delle Nazioni.

Nel novembre 1936, Germania e Giappone firmarono il Patto Anticomintern (cooperazione in chiave anticomunista e antisovietica), a cui un anno dopo (novembre 1937) aderì anche l’Italia, delineando l’Asse Roma-Berlino-Tokyo. Il 12 marzo 1938, la Germania ordinò alle truppe di occupare Vienna, dove nel frattempo si era instaurato un regime autoritario. Il 13 marzo, Hitler annunciò l’annessione dell’Austria (Anschluss) alla Germania.

In seguito, Hitler intimò alla Repubblica Cecoslovacca la cessione dei Sudeti (regione abitata prevalentemente da una popolazione tedesca), che invece si oppose alla richiesta sentendosi al sicuro da un patto fatto con la Francia. Ma le altre potenze europee cercarono un accordo con la Germania: il governo inglese chiese al proprio primo ministro di avviare delle trattative, e nel corso della Conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938) si riuscì a "salvare la pace", ma la Cecoslovacchia dovette cedere i Sudeti. Hitler invase la Cecoslovacchia il 15 marzo 1939, occupando Praga e creando un protettorato tedesco (Boemia e Moravia), riconoscendo l’indipendenza della Slovacchia.

Hitler proseguiva la sua politica e intimò alla Polonia la cessione del Corridoio di Danzica (ceduto dopo la Prima Guerra Mondiale).

Il 22 maggio 1939, la Germania e l’Italia stipularono un trattato di alleanza militare, il "Patto d’Acciaio" (reciproco aiuto in caso di guerra). La Germania poi sottoscrisse un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica (Patto Molotov-Ribbentrop, 23 agosto 1939) che prevedeva la spartizione dell’Est europeo e della Polonia in due sfere d’influenza, una tedesca e una sovietica. Tale accordo fu determinato dalla necessità della Germania di proteggersi le spalle in caso di conflitto con le potenze occidentali. Stalin, invece, sottoscrisse il patto per l’ottenimento di consistenti vantaggi territoriali e dalla delusione dell’atteggiamento di Francia e Gran Bretagna, che avevano assecondato l’espansione tedesca verso est per garantirsi tranquillità a Occidente.

L'URSS di Stalin: Dalla Rivoluzione al Totalitarismo

La Lotta per la Successione e l'Ascesa di Stalin

Dopo la morte di Lenin, si aprì un periodo di crisi nel Partito Comunista, dove si scontravano due linee: da un lato il gruppo di Lev Trockij (legato agli ideali internazionalisti del bolscevismo, sosteneva l’idea della "rivoluzione permanente" che la Russia avrebbe dovuto portare in tutta Europa) e i seguaci di Iosif Stalin (che sosteneva la teoria del "socialismo in un solo paese", secondo la quale si doveva prima consolidare economicamente e militarmente lo Stato sovietico prima di essere un modello ideale a sostegno di una possibile rivoluzione mondiale). In questo scontro prevalse Stalin, diventato già segretario generale del partito nel 1922. Stalin si pose come guida del partito e dello Stato, eliminando progressivamente tutti gli avversari politici.

La Politica Economica: Industrializzazione e Collettivizzazione

Nell’economia, Stalin riteneva fosse necessaria un’industrializzazione accelerata del paese. Interruppe la NEP (Nuova Politica Economica) e nel 1929 impose la collettivizzazione forzata della terra, allo scopo di ricavare dal settore agricolo le necessarie risorse per la trasformazione dell’industria. Lo Stato assunse il controllo totale delle campagne attraverso la soppressione della media proprietà agraria, quella dei Kulaki (contadini proprietari di terre), che furono costretti a entrare in grandi aziende agricole collettive (Kolchoz) o statali (Sovchoz). Tutto ciò fu possibile mediante una violenta campagna proprio contro i Kulaki, che vennero eliminati come classe sociale.

Vennero attuati i Piani Quinquennali (che avevano come base la collettivizzazione), il cui scopo era quello di pianificare l’economia indirizzandola verso un incremento della produzione industriale.

Il primo piano, approvato nel 1928, divenne la base dell’economia, cancellando ogni libertà economica introdotta dalla NEP. Favorì uno sviluppo nell’industria pesante (settore siderurgico, elettrico, minerario). Sorsero grandi città industriali; furono costruite centrali idroelettriche e moderne raffinerie di petrolio. Tutti questi sviluppi furono resi possibili con elevati costi umani e un intenso sfruttamento della forza lavoro (aumentata grazie all’emigrazione dalle campagne alle città). Fu creato un movimento chiamato Stachanovismo, che mirava a sollecitare l’impegno dei lavoratori e a diffondere la competitività.

Il Totalitarismo Staliniano: Culto della Personalità e Repressione

Negli anni '30 si sviluppò lo stalinismo; l’URSS aveva ormai tutte le caratteristiche di uno Stato totalitario (la presenza di un unico partito sotto la vigilanza e il comando di Stalin), con la difesa ed esaltazione della patria e del superiore ideale comunista. Per mantenere ciò, si ricorse alla repressione e a una propaganda condotta grazie al monopolio di tutti i mezzi di informazione.

I piani contribuirono a rafforzare il potere di Stalin; si diffuse il culto della personalità e del capo, che fu un elemento fondamentale per il consolidamento dello Stato sovietico. Stalin era considerato il degno prosecutore di Lenin, poiché stava trasformando un paese agricolo arretrato in una grande potenza industriale. Era visto come il capo carismatico, unico e infallibile del partito che aveva costruito lo Stato socialista. Il prestigio di Stalin portò una svolta nelle relazioni tra l’URSS e le potenze occidentali. Infatti, la paura verso l’espansionismo tedesco portò gli Stati a collaborare tra loro. Nel 1934 l’URSS venne ammessa nella Società delle Nazioni e riconosciuta dagli Stati Uniti; in cambio, Mosca accettò, in nome dell’antifascismo, la possibilità di un’unità di azione tra comunismo e borghesia democratica.

Stalin, per portare avanti le proprie strategie per la trasformazione del paese, utilizzò l’arma della repressione e del terrore, annullando completamente la democrazia e creando un sistema dittatoriale fondato su un potere personale e tirannico. Il terrore venne utilizzato come strumento di controllo degli operai, dei contadini e dei membri dello stesso partito. A partire dagli anni '30, si moltiplicarono le eliminazioni fisiche e i processi degli altri capi bolscevichi che potevano rappresentare una minaccia per Stalin (fra le vittime anche Trockij, uno dei suoi principali avversari, assassinato in Messico nel 1940).

Tra il 1936 e il 1938 si verificarono le "Grandi Purghe", durante le quali la totalità della vecchia guardia bolscevica, che aveva esercitato un ruolo di primaria importanza nella fase iniziale della rivoluzione e della guerra civile, fu eliminata. Si ebbero processi e condanne a morte anche verso moltissimi cittadini incolpati di attività anticomunista e antinazionale, che in realtà erano innocenti. Tutti i vecchi dirigenti bolscevichi furono sostituiti.

Ogni cittadino poteva essere riconosciuto colpevole anche solo con un’accusa anonima e infondata. Un tale risultato fu ottenuto anche grazie alla realizzazione dei Gulag (campi di lavoro coatto), destinati a diventare luoghi di distruzione psicologica e fisica della persona, campi di detenzione e "rieducazione" per criminali di ogni tipo (spesso situati nelle regioni settentrionali). I primi Gulag risalgono all’epoca dell’Impero zarista e venivano utilizzati come campi di prigionia per gli oppositori e per i personaggi che venivano confinati e condannati a lavori forzati. Questi campi venivano utilizzati anche per creare una manodopera sfruttabile a piacimento; infatti, c’era una pianificazione degli arresti (il numero dei detenuti era deciso a inizio anno). Le ubicazioni venivano scelte per facilitare l’isolamento dei prigionieri. Le attività dei detenuti erano: taglio e trasporto legna, lavoro in miniera, costruzione di strade e ferrovie e di altre opere pubbliche.

All’interno dei Gulag (dove non avvenne lo stesso sterminio dei Lager nazisti) c’erano disumane condizioni di vita e un durissimo lavoro. I condannati vivevano e lavoravano in condizioni estreme, alloggiavano in baracche umide, fredde e sovraffollate; la sorveglianza era strettissima (cani da guardia, filo spinato e territori che non permettevano la fuga); i turni di lavoro erano massacranti; la malnutrizione e il vestiario non erano adeguati; i detenuti non venivano curati e venivano puniti spesso dalle guardie anche senza motivo. Il tasso di mortalità era altissimo.

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