Imperativi categorici e ipotetici: fondamenti dell'etica kantiana

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Imperativi Categorici e Ipotetici

Gli imperativi categorici sono generalmente espressi come "devi fare X" o, in forma proibitiva, "non si dovrebbe fare X". "Devi essere sincero", "Non rubare" sono esempi di imperativi categorici. Bisogna fare attenzione, però, perché la mera espressione linguistica non è sufficiente a stabilire se l'imperativo che guida il nostro comportamento sia ipotetico o categorico. Per determinarlo, è necessario fare riferimento a ciò che ha spinto la nostra volontà: se non rubiamo perché riteniamo che rubare sia un male in sé, anche se non temiamo la polizia, allora il nostro imperativo è categorico. Se invece desistiamo dal rubare per paura della polizia, l'imperativo seguito è ipotetico ("non rubare se non vuoi guai con la polizia").

Gli imperativi ipotetici sono problematici (regole di abilità) o assertori (consigli di prudenza). Nel primo caso, l'azione è buona solo in vista di un fine possibile, non un fine a cui gli uomini tendono per natura, ma un fine che si può volere o meno. Il mandato "devi allenarti questo pomeriggio" appartiene a questo tipo, poiché descrive il modo corretto di comportarsi per raggiungere il fine di giocare bene la partita di calcio domani. Gli imperativi ipotetici sono generalmente espressi come "devi fare X se vuoi ottenere Y". Kant riteneva che l'etica non potesse basarsi su mandati materiali o assertori, ma solo su precetti morali o imperativi categorici. Gli imperativi ipotetici (così come i giudizi sintetici a posteriori) sono contingenti e particolari: quelli di abilità non valgono universalmente e non hanno la stessa finalità, quelli di prudenza hanno una portata più universale in quanto si riferiscono alla felicità, qualcosa a cui tutti aspirano, ma non sono assolutamente universali e necessari, poiché la felicità dipende dalle circostanze empiriche di ogni persona. Anche se fosse lo stesso per tutti (per esempio, una vita di conoscenza come sembra assumere Aristotele), il modo di raggiungere la felicità dipende da circostanze empiriche (come il modo di realizzare una vita contemplativa dipende dalle circostanze sociali, economiche e politiche di ogni periodo).

Le Tre Formulazioni dell'Imperativo Categorico

Secondo Kant, l'imperativo categorico ha tre formulazioni:

  1. "Agisci in modo che la massima della tua azione possa diventare una legge universale".
  2. "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre come un fine e mai semplicemente come un mezzo".
  3. "Agisci come se, attraverso le tue massime, fossi sempre un membro legislatore in un regno universale dei fini".

Il Regno dei Fini

La concezione kantiana degli esseri razionali come fini porta a parlare di ciò che egli chiama regno dei fini. Questo concetto parte dall'osservazione di una "unione sistematica di esseri razionali attraverso leggi comuni". E poiché la legge comune tiene conto delle relazioni tra uomini che, a loro volta, sono fini a se stessi, è logico che Kant chiami il tutto regno dei fini. Secondo Kant, un essere razionale può appartenere al regno dei fini in due modi:

Appartenenza al Regno dei Fini

1º) Come membro: partecipa al regno dei fini come produttore di leggi, ma allo stesso tempo è anche soggetto ad esse.

2º) Come sovrano: la sua volontà legislatrice non è soggetta a nulla e nessuno. È in questo contesto che Kant riformula l'imperativo categorico come segue: "agisci come se, attraverso le tue massime, fossi sempre un membro legislatore in un regno dei fini".

Libertà e Moralità

La ragione teoretica non può dimostrare l'esistenza della libertà, in quanto è in grado di raggiungere solo il mondo dei fenomeni, in cui tutto è soggetto alla legge della causalità e della necessità naturale. I comportamenti che non sono liberi non sono né buoni né cattivi, e il soggetto che li compie non è moralmente responsabile. La libertà equivale all'autonomia. La libertà è la ratio essendi della moralità, la moralità è la ratio cognoscendi della libertà. La prospettiva kantiana ci costringe a pensare che l'uomo appartenga a due mondi o regni: il regno dei fenomeni e il regno noumenico. La sintesi tra virtù e felicità è la condizione di possibilità della morale.

Kant riteneva che la base per determinare il nostro comportamento non fosse strettamente la felicità (anche se può essere un dovere), ma non poteva dimenticare il valore straordinario che la felicità sembra avere nella sfera umana. Ciò appare nella sua concezione del Bene Supremo. La nostra condotta morale sarebbe priva di senso se non ci fosse alcuna possibilità di santità (la perfezione assoluta, il compimento perfetto della virtù). In questo mondo non possiamo raggiungere la santità, quindi ci deve essere un'altra vita in cui sia possibile ottenere la perfezione morale. Il postulato dell'immortalità dell'anima sembra servire l'accesso al Bene Supremo, poiché la virtù richiede un tempo infinito per raggiungere il suo pieno potenziale. Postulare l'esistenza di Dio in questo mondo serve a far coincidere la realizzazione della nostra felicità con la realizzazione del bene (poiché gli esseri infelici non sono necessariamente buoni, e quelli felici non sono necessariamente cattivi). Quindi, pensiamo che Dio esista perché solo un soggetto assoluto può far corrispondere le leggi che governano il comportamento orientato alla felicità con le leggi che governano la condotta morale.

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