L'Imprenditore nel Diritto Italiano: Definizione, Caratteri e Classificazioni

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Definizione dell'Imprenditore (Art. 2082 c.c.)

Il codice civile vigente del 1942 non definisce l'impresa in quanto tale, ma piuttosto l'imprenditore, all'articolo 2082, cioè la persona o il soggetto titolare dell'impresa. È imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi.

Caratteri dell'Attività di Impresa

Dalla definizione ricaviamo i requisiti o caratteri che concorrono a qualificare giuridicamente un'attività di impresa, e cioè:

  • la professionalità;
  • l'economicità;
  • l'organizzazione;
  • la produzione o lo scambio di beni o servizi.

Professionalità

L'attività di un imprenditore deve essere un'attività professionale, nel senso che deve essere esercitata dal suo titolare in modo abituale e sistematico, cioè non occasionale o saltuario, anche se non necessariamente in modo continuativo.

In pratica: sono attività imprenditoriali anche le attività a carattere stagionale (come la gestione di impianti sciistici oppure di stabilimenti balneari o termali, la vendita al pubblico di caldarroste o di cocomeri, ecc.) e, più in generale, tutte le attività che, per la loro stessa natura, si svolgono soltanto in alcuni periodi dell'anno o comunque a intervalli di tempo (si pensi alla preparazione di luminarie in occasione delle festività, alla gestione di un posto di ristoro in uno stadio aperto la domenica, ecc.).

In base al requisito della professionalità, non può considerarsi attività di impresa il compimento di un singolo atto produttivo o di più atti produttivi isolati e non collegati tra loro; nello stesso tempo, l’attività non deve essere necessariamente un’attività esclusiva o principale, perché l’imprenditore può svolgere anche un'altra attività o ricavare in prevalenza il suo reddito da un'altra attività.

In pratica: non è un imprenditore il soggetto che acquista una tantum un immobile per rivenderlo o compie uno o più atti di trasporto a pagamento; è un imprenditore, invece, il libero professionista o l'impiegato che, nel tempo libero o nel periodo estivo, gestisce anche uno stabilimento balneare.

Economicità

L'attività di un imprenditore deve essere un'attività economica, in quanto deve tendere a coprire i costi di produzione con i ricavi delle vendite e a ricostituire in questo modo, al termine del processo produttivo, il capitale che è stato investito nell'impresa.

Economicità non significa che nell'esercizio dell'attività di impresa non possano verificarsi perdite, ma semplicemente che l'attività svolta deve tendere a produrre un utile e non operare con scopi benefici.

Di regola, un imprenditore esercita la sua attività perseguendo uno scopo di lucro, cioè facendo in modo che i suoi ricavi siano superiori ai costi; tuttavia, la nozione di imprenditore non richiede necessariamente che egli realizzi un profitto, ma semplicemente che abbia l'obiettivo di coprire i costi con i ricavi.

Organizzazione

L'attività di un imprenditore deve essere un'attività organizzata, cioè deve necessitare di un'organizzazione di elementi reali (il capitale) ed eventualmente di elementi personali (i lavoratori dipendenti e/o i collaboratori autonomi).

La presenza di elementi personali, oltre all'imprenditore, all'interno dell'impresa, in realtà, non è sempre necessaria, in quanto è possibile realizzare un'attività di impresa anche con il solo apporto del lavoro dell'imprenditore.

In pratica: è un imprenditore un idraulico che effettua personalmente piccole riparazioni al domicilio dei clienti, senza avere dipendenti e utilizzando gli attrezzi del mestiere (chiavi inglesi, pinze, sturalavandini, ecc.).

Attività Produttiva Destinata allo Scambio di Beni e Servizi

L'attività svolta dall'imprenditore deve essere un'attività produttiva, o almeno prevalentemente produttiva, cioè deve essere diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi. L'attività di un imprenditore, infatti, deve essere destinata a soddisfare i bisogni di altre persone (i consumatori e gli utenti) e richiede sempre uno scambio in senso economico.

In pratica: non dà luogo a una vera e propria impresa un'attività di produzione di beni e di servizi per conto proprio, cioè destinata soltanto all'autoconsumo individuale o familiare di una persona.

Attività Imprenditoriali (Sintesi)

Secondo la legge, in sintesi, danno luogo all'esercizio di un'impresa le attività di:

  • produzione e scambio di beni (imprese agricole, industriali, ecc.);
  • produzione e scambio di servizi (imprese di trasporto, bancarie, assicurative, ecc.);
  • scambio di beni (imprese mercantili o commerciali in senso stretto);
  • scambio di servizi (imprese di lavoro interinale o di somministrazione di lavoro).

Esercizio di Fatto dell'Impresa

Dal punto di vista giuridico, una persona è considerata un imprenditore quando esercita di fatto un'attività di impresa e quindi è irrilevante, salvo l'applicazione delle sanzioni amministrative o penali previste dalla legge, l'eventuale mancanza delle autorizzazioni o licenze amministrative richieste per determinate attività o l'esistenza di una situazione di incompatibilità con l'attività di impresa.

In pratica: sono imprenditori, salva l'eventuale applicazione delle sanzioni previste dalla legge, una società che inizia la gestione di un ipermercato prima del rilascio di un'autorizzazione e un insegnante che gestisce un esercizio commerciale incompatibile con le sue funzioni di pubblico dipendente.

Inizio e Fine dell'Impresa

Dal punto di vista giuridico, l'inizio di un'impresa si verifica con il compimento del primo atto di gestione o anche di una serie di atti di organizzazione preordinati alla gestione, mentre la fine dell'impresa si verifica con la liquidazione di tutti i rapporti giuridici pendenti relativi all'impresa, anche se l'attività è già cessata in un momento precedente.

L'individuazione del momento iniziale e del momento finale di un'impresa è molto importante agli effetti del fallimento, in quanto un imprenditore commerciale in stato di insolvenza può essere dichiarato fallito soltanto dopo avere iniziato un'attività di impresa ed entro un anno dalla sua cessazione.

In pratica: si intende compiuto il primo atto di gestione, e quindi nasce l'impresa, quando per esempio viene fabbricato un prodotto o viene aperto un locale. Parimenti, un'azienda nasce, per il compimento di più atti organizzativi, se una persona che vuole aprire un ristorante conclude il contratto d'affitto del locale, incarica un’impresa di ristrutturare la cucina, stipula i contratti di fornitura di gas, luce, acqua, acquista l’arredamento, assume alcuni dipendenti, ecc. Dal punto di vista giuridico, l'impresa cessa di esistere quando sono stati pagati tutti i debitori verso terzi, sono stati risolti tutti i contratti di lavoro subordinato, sono stati venduti tutti i beni aziendali e così via.

Classificazione degli Imprenditori

Criteri di Classificazione

Gli imprenditori possono essere classificati sulla base di diversi criteri:

  • un criterio qualitativo;
  • un criterio quantitativo;
  • un criterio personale.

Il criterio qualitativo, in relazione alla tipologia di attività svolta, distingue gli imprenditori in:

  • imprenditori commerciali (che svolgono le attività definite commerciali dall’articolo 2195 c.c.)
  • imprenditori agricoli (che svolgono le attività definite agricole nell'articolo 2135 c.c.).

Il criterio quantitativo distingue gli imprenditori per le dimensioni della loro attività in:

  • imprenditori ordinari (tutti gli imprenditori che non possono definirsi «piccoli»)
  • piccoli imprenditori (quelli così definiti dall'articolo 2083 del c.c.).

Il criterio personale distingue gli imprenditori, a seconda del numero di soggetti che svolgono l'attività, in:

  • imprenditori individuali (quando l'attività è esercitata da un singolo individuo)
  • imprenditori collettivi, detti anche società (quando l'attività è svolta da più persone).

La distinzione tra le diverse figure di imprenditore assume notevole importanza da un punto di vista giuridico, in quanto essi sono sottoposti a obblighi diversi.

Per esempio, gli imprenditori agricoli e i piccoli imprenditori non hanno l'obbligo di iscriversi nel registro delle imprese, né possono fallire, come previsto invece per gli imprenditori commerciali.

L'Imprenditore Agricolo (Art. 2135 c.c.)

La definizione di imprenditore agricolo è ricavabile dall'articolo 2135 c.c., così come riformato dal D.Lgs. 228/2001. È imprenditore agricolo colui che esercita un'attività di coltivazione di un fondo o di un bosco, di allevamento di animali oppure un'altra attività connessa all'agricoltura.

Attività Agricole Principali

Le attività agricole si distinguono in principali e connesse. Le attività agricole principali sono indicate nel primo comma dell'articolo 2135 del c.c. e comprendono:

  • la coltivazione di un fondo, cioè la cura e la crescita dei prodotti agricoli;
  • la selvicoltura (coltivazione del bosco);
  • l'allevamento di animali.

Esempio: sono imprenditori agricoli coloro che producono grano o pomodori, gestiscono un bosco per produrre legna, allevano bestiame (bovini, equini, suini, ovini e caprini).

Attività Agricole per Connessione

Le attività agricole per connessione, che devono essere esercitate da un soggetto che è già un imprenditore agricolo a titolo principale, sono indicate nel terzo comma dell'articolo 2135 c.c. e includono:

  • attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione e alienazione dei prodotti agricoli, a condizione che riguardino prevalentemente prodotti propri, ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco oppure dall'allevamento degli animali;
  • attività dirette alla fornitura di beni o di servizi, a condizione che si tratti di attività realizzate utilizzando in modo prevalente le attrezzature e le risorse impiegate nell'attività agricola;
  • in base ad alcune leggi speciali, infine, rientrano in ogni caso nelle attività agricole la coltivazione dei funghi, la coltivazione e il commercio dei tartufi, l'apicoltura, l'agriturismo.

Esempio: sono attività agricole per connessione:

  • la produzione di vino dall'uva o di olio dalle olive, la lavorazione del formaggio dal latte, ecc. (trasformazione e vendita di prodotti agricoli);
  • un vivaista che impianta giardini e provvede alla loro manutenzione e un allevatore di cavalli che gestisce un maneggio per turisti (fornitura di beni e servizi nel settore agricolo);
  • la fornitura di vitto e alloggio ai turisti all'interno di un'azienda agricola e l'organizzazione di attività aggiuntive ricreative, culturali, didattiche, escursionistiche, ecc. (agriturismo).

Il Piccolo Imprenditore (Art. 2083 c.c.)

In relazione alle dimensioni e all’organizzazione dell’attività esercitata, un imprenditore può essere qualificato come piccolo imprenditore (articolo 2083 c.c.). Sono considerati piccoli imprenditori:

«i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia».

Criterio della Prevalenza

L’elenco delle figure specifiche di coltivatori diretti, artigiani e piccoli commercianti è solo indicativo, poiché la seconda parte della disposizione contiene un criterio più generico che identifica l'intera categoria dei piccoli imprenditori: la prevalenza del lavoro del titolare e dei suoi familiari. La prevalenza dell’attività lavorativa svolta dallo stesso imprenditore, ed eventualmente anche dai suoi familiari, deve riguardare sia i fattori personali (i lavoratori) sia i fattori reali (il capitale) impiegati nell’impresa e deve essere valutata caso per caso, in concreto, dal giudice.

Esempi:

  • Un coltivatore diretto, che coltiva un fondo con il lavoro prevalentemente proprio e dei familiari, è considerato piccolo imprenditore, ma non è più tale se costruisce alcune serre sostenendo una spesa di alcune centinaia di migliaia di euro.
  • Non può essere considerato piccolo imprenditore chi ha molti dipendenti o collaboratori (come un’agenzia di indagini di mercato che impiega alcune decine di intervistatori) o chi ha investito nell’attività produttiva un capitale molto elevato (come una società telefonica o un orefice).

Disciplina del Piccolo Imprenditore

In base alla legge, il piccolo imprenditore, anche se esercita un’attività commerciale, non è sottoposto alla disciplina dell’imprenditore commerciale e quindi ha meno vincoli dal punto di vista normativo. Questo trattamento di favore è giustificato:

  • da un lato, dal limitato giro d’affari delle piccole imprese (e quindi da una minore esigenza di tutela dei creditori);
  • dall’altro lato, dall’opportunità di non gravare imprese di limitate dimensioni con obblighi eccessivi rispetto alla loro organizzazione.

Esempio:

Un piccolo imprenditore non è soggetto alla pubblicità legale, cioè all’obbligo dell’iscrizione nel registro generale delle imprese che, come vedremo, consente ai terzi di poter conoscere i principali fatti o atti giuridici che riguardano un’impresa.

L'Impresa Familiare (Art. 230 bis c.c.)

I familiari dell’imprenditore possono lavorare con lui?

In alcune imprese, di solito di piccole dimensioni, può succedere che oltre all'imprenditore collaborino con lui nella realizzazione dell'attività anche i suoi familiari, come il coniuge, i figli, i fratelli, ecc. Fino a qualche decennio fa, il lavoro dei familiari che collaboravano nell'attività di impresa non veniva riconosciuto e tutelato dalla legge, e i familiari, pur prestando il proprio lavoro nell'impresa, non potevano vantare alcun diritto nei confronti dell'imprenditore.

Riforma del Diritto di Famiglia

Verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso, con la legge di riforma del diritto di famiglia (L. n. 151/1975), queste situazioni sono state regolate dalla legge, che ha introdotto la figura dell'impresa familiare (articolo 230 bis c.c.), al fine di disciplinare i rapporti tra i collaboratori familiari ed evitare forme di sfruttamento lavorativo.

Definizione e Struttura

L'impresa familiare ricorre quando i familiari più stretti del titolare di un'impresa (il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado) svolgono di fatto, senza un regolare rapporto giuridico, un lavoro continuativo nell'impresa.

Un'impresa familiare è e rimane, pur in presenza di collaboratori, un'impresa individuale, nella quale il titolare è l'unico imprenditore ed è responsabile, con il suo patrimonio personale, per i debiti dell'impresa. Egli ha un potere direttivo sui dipendenti e sui familiari, come «capo dell'impresa» (articolo 2086 c.c.), e, se non è stabilito diversamente, anche la rappresentanza dell'impresa verso i terzi.

In pratica: Marco è titolare di un'impresa che svolge l'attività di ristorante. Nell'impresa collaborano anche la moglie Maria e il figlio Fabio, ed essi hanno costituito un'impresa familiare. Solo Marco risulta titolare dell'impresa e solo lui può concludere contratti con i fornitori, assumere dipendenti, avere rapporti con le banche, rispondere in tribunale per eventuali contestazioni e così via.

La Parentela e l'Affinità

La Parentela

È il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona o, come afferma il Codice Civile, dallo stesso stipite (art. 74 c.c.). Ai fini della determinazione del vincolo si distinguono:

  • la linea retta: unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (ad es. padre e figlio, nonno e nipote);
  • la linea collaterale: unisce le persone che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’una dall’altra (ad es. fratelli, zio e nipote).

I gradi si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite: tra padre e figlio c’è parentela di primo grado; tra fratelli c’è parentela di secondo grado (figlio, padre, figlio = 3; 3 – 1 = 2); tra nonno e nipote, parentela di secondo grado (nonno, padre, figlio = 3; 3 – 1 = 2); tra cugini parentela di quarto grado e così via.

L'Affinità

È il vincolo che unisce un coniuge ed i parenti dell’altro coniuge. Sono affini, perciò, i cognati, il suocero e la nuora, ecc. Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così suocera e nuore sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado, ecc.

Diritti dei Familiari

La legge riconosce, tuttavia, ai collaboratori familiari alcuni diritti nei confronti dell'imprenditore, a condizione che lavorino in modo continuativo all'interno dell'impresa o della famiglia:

  • il diritto al mantenimento;
  • il diritto di partecipazione agli utili;
  • il diritto di partecipare alle decisioni più importanti;
  • il diritto alla liquidazione della quota;
  • il diritto di prelazione sull'azienda.
Il Diritto al Mantenimento

Il titolare dell'impresa deve provvedere alle spese personali dei familiari (vitto, alloggio, abbigliamento, ecc.), secondo la condizione patrimoniale della famiglia e quindi indipendentemente dal lavoro svolto all'interno dell'impresa o nella famiglia.

Il Diritto di Partecipazione agli Utili

I familiari che lavorano nell'impresa hanno diritto di partecipare agli utili dell'impresa (nel limite massimo del 49% del reddito prodotto) e agli incrementi di valore dell'azienda, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, se vi sono utili, in quanto, in caso contrario, i familiari non riceveranno alcun compenso per la loro attività.

Il Diritto di Partecipare alle Decisioni più Importanti

I familiari hanno il diritto di partecipare alle decisioni più importanti sulla gestione dell'impresa e, in particolare, alle decisioni riguardanti l'impiego degli utili e degli incrementi aziendali, la gestione straordinaria dell'impresa, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell'attività. Queste decisioni non richiedono l'adozione di formalità particolari e devono essere deliberate dalla maggioranza numerica dei familiari; ogni familiare, quindi, ha diritto a un voto, qualunque sia la sua quota di partecipazione agli utili. In realtà, i collaboratori familiari non hanno un vero e proprio diritto di gestire l'impresa insieme all'imprenditore, ma soltanto il potere di condizionare le decisioni: i familiari che collaborano nell'impresa, infatti, non possono sostituirsi al titolare e imporgli le proprie decisioni anche contro la sua volontà, perché alla fine per i debiti dell'impresa è responsabile soltanto l'imprenditore con il suo patrimonio e non i familiari.

In pratica: se tra Marco, sua moglie e suo figlio vi è un contrasto insanabile sulla decisione se distribuire gli utili o investirli nell'impresa, è sempre la volontà di Marco a prevalere; Maria e Fabio possono chiedere soltanto lo scioglimento dell'impresa familiare e la liquidazione della loro quota.

Il Diritto alla Liquidazione della Quota

Nel caso di cessazione dell'attività lavorativa nell'impresa o nella famiglia, oppure di vendita dell'azienda, coloro che partecipano all'impresa familiare hanno diritto alla liquidazione della quota, che di regola può essere trasferita soltanto a favore di un altro familiare e con il consenso di tutti i familiari che collaborano nell'impresa.

Il Diritto di Prelazione sull'Azienda

Nel caso di divisione ereditaria o di vendita dell'azienda, infine, ai collaboratori familiari viene riconosciuto un diritto di prelazione sull'azienda, cioè il diritto di essere preferiti ad altre persone nell'ipotesi in cui il titolare decidesse di vendere l'azienda.

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