Movimento pistoni motore spento

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AGOSTINO Lo scettico non può negare i rapporti matematici : Lo scettico non può negare il principio di non contraddizione ,Lo scettico mostra l’esistenza della verità con il suo stesso modo di procedere. Sé credo di ingannarmi, vuol dire che esisto e non posso dubitare della mia esistenza. Si può dubitare di tutto, ma non si può dubitare di stare dubitando, quindi chi dubita?  Un essere dubitante è anche pensante. Il dubbio implica un’autocoscienza e dall’atto di dubitare è possibile dedurre l’esistenza dell’anima.

Una volta ammessa la realtà dell’anima, bisogna indagare sui suoi contenuti, le idee. Le idee matematiche non possono essersi formate come elaborazione di sensazioni, dato che le nozioni di numero, punto... Si riferiscono a entità astratte. Il fatto che l’anima riesca ad usare tali nozioni dimostra l’esistenza di una ratio superior, la capacità di trascendere l’esperienza, e la presenza in essa di procedimenti logici, principi e regole universali precedenti la sensazione. La matematica implica l’esistenza di una intelligenza, ossia di una mente capace di possedere principi superiori e indipendenti dall’esperienza. Anche le idee di giustizia, coraggio, amicizia..., sé siamo in grado di capirne il senso, bisogna ammettere che la mente sia illuminata da interne regole di verità, il cui fondamento sfugge alla nostra capacità di analisi. Anche la nozione di esistenza non si forma su basi esperienzialila mente è in grado di capire anche la nozione di non esistenza. Il pensiero non è in grado di spiegare sé stesso.

La ragione non basta a sé stessa. La comprensione delle verità più profonde necessita l’aiuto divino. L’origine delle interiores regulae veritatis è Dio. Senza Dio, l’uomo non sarebbe in grado di pensare. “Non è il ragionamento che fa le verità quali sono, ma le svela. Pertanto prima di essere scoperte, esistono, e quando sono scoperte, ci rinnovano”. L’anima è un luogo di transito verso Dio: i principi regolativi del conoscere sono io noi, ma non originano da noi.

Il processo che permette alla mente di accogliere la verità è come un’interiore illuminazione divina. Dio è presente nella mente di ogni uomo più di quanto ogni uomo sia presente in sé stesso. È la sorgente di ogni verità, guida la mente sulla via della verità, la quale è già in noi, ma si lascia scoprire solo tramite il suo aiuto.


ANSELMO Lo scopo della riflessione di anselmo era provare l’esistenza di dio.

PROVE A POSTERIORI (INDUTTIVO)Sono elaborate nel Monologion e dimostrano dio a partire dall’osservazione del mondo

La prima prova parte dalla considerazione che nel mondo convivono beni di vario grado, che seguono una scala gerarchica, e troviamo sul vertice un Sommo Bene: Dio.

PROVA A PRIORI (DEDUTTIVO) È l’unica prova presentata nel Proslogion è detta ontologica perché́ intende dimostrare l’esistenza di dio a prescindere dall’osservazione del mondo e a partire dal concetto di dio stesso. (detta a priori perché́ rimarrebbe valida anche sé dio non avesse creato il mondo)

In forma di dialogo tra un sapiens (credente) e un insipiens (ateo). Di fronte alla convinzione che dio non esista esposta dallo stolto, il credente chiede di fornire una definizione di dio. La sua esistenza potrà anche essere negata, ma bisogna accordarsi su ciò che si nega. La definizione data è: dio è perfetto, “quell’essere di cui non si può pensate nulla di maggiore”. Sé si immaginano due tipi di perfezione, una esiste nella realtà e l’altra solo nell’intelletto; ciò che esiste nella realtà è più perfetto di ciò che esiste solo nell’intelletto, perciò “quell’essere di cui non si può pensate nulla di maggiore” non può essere solo nell’intelletto. Anche l’ateo ammetterà che la mancanza dell’esistenza rende la seconda perfezione minore della prima. Dio: perfezione esistente.


UNIVERSALI La disputa sugli universali è la maggiore questione filosofico-teologica della scolastica ed ha per base il concetto degli universali. Nel linguaggio quotidiano usiamo parole di due specie: 1) termini che indicano un oggetto o un individuo particolare; 2) termini di genere e specie.
Dalla disputa si originarono due concezioni contrapposte del rapporto tra linguaggio e realtà, rappresentate dal nominalismo (per cui gli universali ricavati con il procedimento razionale dell'astrazione sono semplicemente simboli, nomi delle cose) e dal realismo (per il quale gli universali esistono per loro conto, sono il riflesso nelle cose e nell'interiorità dell'anima dell'uomo di quelle idee reali con cui Dio ha creato l'universo). Una terza posizione era infine quella del concettualismo secondo la quale gli universali non hanno una realtà per sé stante, ma non sono neppure dei semplici nomi ma piuttosto delle formazioni autonome del nostro intelletto: esistono come processi mentali.

REALISMO Il realismo è la posizione filosofica della quale Guglielmo di Champeaux fu il massimo esponente (anche sé successivamente si ricredette e mitigò notevolmente le sue precedenti convinzioni). Egli riteneva gli universali del tutto ante rem, identificandoli, nell'ottica di Platone, con le idee di Dio atte a creare il mondo. Corrispondenza tra ogni concetto universale e un aspetto della realtà, cui a sua volta corrisponde un contenuto di un’altra realtà superiore (platone: iperuranio; scolastica: mente di dio)

NOMINALISMO La dottrina il cui più rilevante assertore fu Roscellino, sostiene che i concetti, gli universali, non posseggono una loro propria esistenza prima o scollegata dalle cose, né esistono al di fuori o nelle cose ma vengono concepiti solo come nomi. Consistono in un mero suono, ossia nel semplice movimento d’aria che la voce emette nel pronunciarli. Posizione estrema perché́ significica: 1) negare al linguaggio qualunque funzione generale d’ordine conoscitivo; 2) porre in disussione l’intera tradizione filosofica e mette in crisi anche la teologia cristiana: Roscellino, sostenendo il nominalismo, affermava che come l'umanità non è nulla di per sé́ poiché́ la sua vera realtà è costituita dagli uomini, questi si ̀ reali, che la compongono, cosi ̀ la divinità non è qualcosa di comune alle tre persone ma ognuna delle tre persone della Trinità – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - è una realtà distinta dalle altre. (eresia)

CONCETTUALISMO Abelardo contestò ambedue le tesi contrapposte. Innanzitutto non si può sostenere la realtà dell'universale ante rem, poiché nessuno è in grado di conoscere la mente divina, né ha senso sostenere l'esistenza dell'universale nelle cose, poiché́ esse sono sempre individuali. Gli universali sono ciò che può essere detto di molte cose, proprio per questo non possono essere res, cose a tutti gli effetti. Si cadrebbe nell’assurdo di concludere che la stessa cosa è presente in molte cose. Per Abelardo l’universale è sermo, ossia una parola intesa nel suo significato, è un prodotto della ragione con un contenuto logico. Nella realtà esistono solo individui dotati di peculiarità che li distinguono dagli altri, ma ognuno di essi è dotato di affinità che lo rendono simile agli altri componenti della stessa specie. Pensare significa cogliere queste somiglianze attraverso l’astrazione di ciò che è comune.

Si tratta della posizione chiamata concettualismo: gli universali sono concetti (conceptus mentis) esistenti nel pensiero umano e divino come enti logici. Gli universali esistono soltanto all'interno della mente e non hanno realtà esterna o sostanziale.


Tommaso d'Aquino si poneva nella disputa sugli universali definendoli principalmente in re, cioè seguendo Aristotele come essenza che si trova dentro l'oggetto, e sempre aristotelicamente post rem, come concetto che viene elaborato successivamente nella nostra mente, ma anche ante rem, come forma che sussiste prima dell'oggetto stesso. Gli universali dunque hanno una realtà che precede le cose individuali in quanto esistono ab aeterno nella mente di Dio, esistono fin da prima delle cose create, dunque sono ante rem; tuttavia, al contempo, costituiscono l'essenza introdotta da Dio nelle cose all'atto della loro creazione, e dunque sono in re; e, infine, sono nella mente dell'uomo come concetti astratti dalle cose e trasformati in immagini mentali, in parole e in segni convenzionali.

Tommaso parla di 5 vie, ovvero dei percorsi a ritroso: si risale fino a dio attraverso ragionamenti induttivi (dal particolare al generale) per supporre la sua esistenza, senza la pretesa di volerlo dimostrare. “Esistenza” non è un predicato, “esistente” significa che c’è, è osservabile nella realtà o no, non è una caratteristica derivabile come “infinito” “imperituro”, si può solo constatare, non si può dedurre.

LA PROVA COSMOLOGICA: tutto ciò che si muove è messo in movimento da altro. Questa catena deve aver avuto un inizio: motore originario capace di mettere in movimento la realtà senza essere esso stesso in movimento. Questo motore immobile è Dio

LA PROVA CAUSALE: nel mondo ogni effetto presuppone una causa esterna che lo provochi, ma questa catena non può risalire all’infinito: ha avuto origine da una causa prima, causante ma incausata: Dio.

LA PROVA DELLA CONTINGENZA: ogni cosa contingente (possibile) esiste ma potrebbe anche non esistere, presupponendo un altro ente necessario, che ne crei la possibilità. Si deve ammettere un ente originario, necessitante ma non necessitato: Dio. (aristotele)

LA PROVA DELLA PERFEZIONE: guardando la natura vediamo diversi gradi di perfezione. Bisogna ammettere un vertice assoluto in rapporto al quale tutto si definisca, ma che a sua volta non sia in rapporto con nulla ad esso maggiore. Questa perfezione massima è Dio. (platone)

LA PROVA DEL FINALISMO: tutte le cose sembrano muoversi verso un fine; vi è quindi un ente che ha diretto a un fine la natura. (gli animali non possono essersi dati un fine da soli perché́ non sono intelligenti, quindi c’è bisogno di un ente primo che abbia immesso il fine nel mondo)

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