Alla Musa: l'angoscia esistenziale di Foscolo

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PARAFRASI

Eppure tu, o Musa, un tempo versavi sulle mie labbra una feconda abbondanza di poesia, quando la prima stagione della mia giovinezza fuggiva e dietro di lei veniva questa età presente, che scende con me per una via dolorosa verso la muta riva del fiume Lete: ora ti invoco senza essere ascoltato; ohimè, solo una scintilla dell’antica ispirazione poetica è ancora viva in me.
E tu, o Dea, fuggisti con lo scorrere del tempo, e mi lasci ai pensosi ricordi e ad un timore cieco del futuro. Perciò mi accorgo, e amore me lo ripete, che rare poesie, frutto di faticosa elaborazione, non riescono a sfogare il dolore che ormai inevitabilmente mi accompagna.

ANALISI

Lo scrittore, che sempre e soltanto dalla poesia ha tratto conforto alle sue pene, avverte che la Musa lo abbandona, poiché sente che le poche rime faticosamente costruite non valgono a lenirgli il male che prova il suo cuore, deluso per l’amore contrastato e per la patria tradita. Anche in questo sonetto appaiono evidenti gli elementi neoclassici e preromantici che caratterizzano le opere foscoliane.

Neoclassicismo

Il neoclassicismo è un movimento letterario ispirato alla classicità, in particolar modo nella compostezza formale, nell’armonia, nell’equilibrio e nella sobrietà dell’arte classica attraverso la sublimazione delle passioni. Nel brano si può ritrovare questa nostalgica evocazione del mondo classico nell’amara considerazione che l’autore fa della sua situazione attuale, nell’invocazione alla musa, nel ricordare “la stagion prima” della sua vita, quando la Musa ancora lo ispirava.

A sottolineare questo aspetto vi è inoltre un forte enjambement ( vv 4-5). Inoltre, per Foscolo, la poesia è il vertice dell’attività umana, in grado di vincere la sofferenza: in questo caso, però, lui risulta triste e nostalgico, poiché non reputa soddisfacenti i risultati del suo lavoro.

Preromanticismo

Il preromanticismo, invece, si pone come interprete della crisi del razionalismo e dell’ottimismo illuministico. Nel sonetto si possono facilmente ritrovare le caratteristiche generali di questa corrente, a partire dallo stato d’animo dell’autore, che appare triste, malinconico e frustrato in tutto il componimento; la presentazione di paesaggi desolati, come il fiume Lete (verso 6); l’esaltazione della poesia, presente in tutto il testo come motivo principale per il suo dolore; il senso di timore verso il futuro, che per noi è ignoto e talvolta pauroso ( verso 11).

Il sonetto risulta, quindi, come un lamento, una preghiera disperata rivolta alla Musa che lo lascia"alle pensose membrane, e del futuro al timor ciec" (ai pensosi ricordi e ad un cieco timore del futuro). Proprio quest'ultima frase riflette al meglio il tema centrale della poesia: il dolore e l'incognita del futuro, che affliggono e spaventano l'autore. Di rilevante importanza è l'utilizzo dell'interlocutore diretto, in quanto il sonetto non appare soltanto come componimento poetico, ma anche come una vera e propria preghiera alla Musa, alla quale si rivolge direttamente nelle due quartine e nella prima terzina. L'autore, in tal modo, cerca di coinvolgere maggiormente il lettore nella sua sofferenza. Il sonetto è composto da due quartine, l'una incrociata (ABBA), l'altra alternata (ABAB), e da due terzine (CDE).

I primi sei versi comprendono il primo periodo, che, data la sua lunghezza, sembra avere la funzione di introdurre il lettore nel dolore di Foscolo.
Nei versi successivi, invece, i periodi sono decisamente più corti e, per ben due volte, punti
esclamativi sottolineano maggiormente le invocazioni.
Il ritmo presente è veloce, fatta eccezione per l'ultima terzina, che racchiude la riflessione dell'autore sulla propria sofferenza. Nel primo periodo suoni e termini sono caratteristici del Dolce Stil Novo, mentre in seguito diventano progressivamente più aspri, in particolar modo con l'utilizzo di"" spesso accompagnate da consonanti quali"","","". Si possono facilmente riconoscere varie analogie tra questo e gli altri sonetti di Foscolo. L'uso dell'interlocutore diretto è comune anche a"A Zacint","In morte al fratello Giovann","Alla ser": infatti si rivolge rispettivamente al luogo di nascita, al fratello deceduto e alla sera. Comune è anche la ripresa di elementi classici: la Musa, i Numi, Venere e Ulisse.

FIGURE RETORICHE

> enjambements = 3-4 / 4-5 / 7-8 / 10-11 / 13-14


il poeta vede dischiudersi dinnanzi a sé un futuro incerto e sente che la poesia, la sua musa, lo sta abbandonando.

Si tratta di una lirica singolare, poiché Foscolo trasfonde in poesia la sua crisi esistenziale: ovvero l’immagine di un “poeta-non-poeta” che si appella alla sua musa ispiratrice che l’ha abbandonato. Sente di non aver più nulla da dire, di essersi perduto in un vicolo cieco, ed è invece proprio scrivendo che si ritrova.
Foscolo in questo canto afferma un’angoscia molto contemporanea: dice che i versi ormai non riescono più a lenire le pene del suo cuore né lo sconforto provato per la sua patria, l’Italia, che è stata tradita.
Tutto viene giocato nel contrasto tra l’antico modo classico “la stagion prima”, un momento felice ma ormai trascorso, e i tempi moderni che riflettono un tragico senso di inquietudine e smarrimento.

Non sfugge il riferimento al fiume Lete, il fiume dell’oblio secondo la mitologia greca e romana, cui il poeta sente di essere condotto da un moto ineffabile e assoluto. Metaforicamente Foscolo esprime il proprio lento declino verso la vecchiaia e quindi la morte. Nelle acque del Lete è custodito, secondo la tradizione, il mistero della reincarnazione delle anime: gettandosi nel fiume queste ultime si purificano e dimenticano la loro vita passata, secondo la concezione greca della metempsicosi. Foscolo sembra ricercare il conforto dell’oblio, la purificazione del dolore, nella poesia che tuttavia non sembra offrirgli più conforto. La sua Musa sembra infatti averlo abbandonato dinnanzi al “timor cieco del futuro”.

Sono molteplici in questo canto i riferimenti alla classicità - dall’appello alla Musa sino al riferimento al mito greco dell’aldilà - che tuttavia si contrappongono a un’inquietudine molto contemporanea. Foscolo riflette nei suoi versi l’angoscia dell’uomo moderno che non sa più guardare al proprio destino con fiducia e serena aspettativa: il domani gli appare come incognita dolorosa e neppure il conforto dell’oblio riesce a lenire il suo struggimento.

Nell’ultima terzina il poeta si concentra sul proprio dolore dando libero sfogo alla propria passione. Ecco che l’intero sonetto acquisisce così il tono accorato di una preghiera: l’invocazione alla Musa - ovvero la Dea protettrice della poesia - non è da interpretare come lo stratagemma di un antico aedo che segue lo schema tradizionale proprio del canto, ma come l’appello disperato di un uomo che si è smarrito e spera di ritrovarsi attraverso la propria arte.

L’ispirazione classica della lirica cede quindi il passo, nel finale, al travaglio dell’uomo moderno che assiste alla crisi degli ideali ed è travolto dagli amari flutti delle proprie ingovernabili passioni. Nella poesia di Ugo Foscolo si riflette l’angoscia di un secolo e di una nazione, l’Italia, che era nelle mani di governanti senza scrupoli capaci di venderla agli stranieri come un bottino in riprovevoli trattative.


Nel suo drammatico appello Alla musa Ugo Foscolo riflette la propria amara condizione esistenziale: è un uomo che sente di aver perduto tutto, persino il suo ultimo conforto, ovvero la poesia. In questi versi compone il ritratto di una resa, come un guerriero che ripone le armi e si offre quindi indifeso al nemico: lui si immola all’altare sacrificale della sua Musa. Giunge a negare il suo essere Poeta, forse ignorando di consacrarsi ai posteri proprio come tale.

Foscolo usa due volte l’apostrofe per rivolgersi direttamente alla Musa: v. 1 (Pur tu… Aonia Diva) e v. 9 (E tu… o Dea!). Il primo verso della poesia è complicato da uniperbato (Pur tu copia versavi alma di canto) che stravolge l’ordine degli elementi nella frase. La stessa figura retorica si ritrova ai vv. 3-4 (de’ miei fiorenti anni fuggiva/la stagion prima). Simile effetto ha l’anastrofe, che al v. 6 scambia di posto due elementi della frase (scende di Lete ver la muta riva). La riva del Lete, inoltre, è una metaforaper indicare la morte.

Due anastrofi si trovano anche nell’ultima terzina: al v.11 (e del futuro al timor cieco) e ai vv. 13-14 (mal ponno sfogar rade, operose/rime il dolor).

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