Principi Fondamentali del Diritto Penale: Fatto, Offensività, Colpevolezza e Umanità della Pena

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ARTICOLO 8

Principio di Fatto

La legge penale punisce solo i fatti, cioè, è estranea al pensiero ("nemo patitur poenam cogitationis" / il pensiero non commette crimini). Questo principio deriva anche che il soggetto non è punito per il suo modo di essere, il suo modo di vita, ma il diritto penale interviene solo quando il trasgressore manifesta con eventi esterni la sua volontà di ledere un bene giuridico ("iter criminis"). Gli atti preparatori sono punibili solo a volte, a volte no. Se il soggetto si limita a pensarci, ma non manifesta un crimine, non può essere punito. Né si può punire, come abbiamo detto, a proposito del modo di vita: se non hai commesso un crimine, il diritto penale non interviene. Diverso è il "diritto penale d'autore", tipico dei regimi totalitari in cui si possono punire le persone per il loro stile di vita o per la manifestazione del loro pensiero contro il regime. Questo "diritto penale d'autore" è ormai superato nella maggior parte delle legislazioni. Dobbiamo anche sottolineare che il soggetto risponde dei fatti stessi, non il partecipante è l'autore stesso e, naturalmente, non esiste la responsabilità collettiva (nel caso in cui qualcuno di una famiglia commetta un crimine, la responsabilità non può essere estesa a tutta la famiglia). Nonostante tutto questo, il giudice può tener conto delle circostanze personali del soggetto al momento di imporre una sanzione al fine di applicare la pena più appropriata per il soggetto.

Principio di Tutela Esclusiva dei Beni Giuridici

L'unica legge penale legittima è quella che mira a proteggere un bene giuridico (funzione strumentale). Il legislatore deve effettuare una selezione prima di creare la norma per ciò che vuole proteggere, come usare la pena o la misura di sicurezza per proteggere i beni giuridici. La selezione dei beni giuridici da tutelare dipende dal contesto storico. Il diritto penale non può che punire comportamenti socialmente dannosi. È un comportamento dannoso quello che mette in pericolo un bene giuridico o lo lede. La Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione affermando che il contenuto del reato è determinato dalla lesione o messa in pericolo dei beni giuridici. È un limite che si rivolge esclusivamente al legislatore. Questo principio di tutela esclusiva dei beni giuridici vieta le politiche che proteggono valori morali ed etici o condotte socialmente innocue. Tuttavia, nonostante l'esistenza di questo limite, c'è una tendenza, non solo nelle nostre leggi ma in diverse, a creare norme per le quali si dubita dell'importanza del bene giuridico e della necessità di tutelarlo proprio attraverso norme penali. In quei momenti storici in cui sono state utilizzate norme penali per proteggere interessi personali dell'amministrazione, mirando a mantenere un ordine stabilito e cercando di punire l'opposizione alla volontà generale (l'infedeltà di fatto), è stato messo in pericolo il principio di protezione esclusiva degli interessi legali, non essendovi nemmeno una lesione di questo limite materiale.

Principio del Minimo Intervento

Opera oggi in tutte le legislazioni come importante limite materiale il principio del minimo intervento. Il diritto penale è l'ultima ratio, cioè l'ultimo strumento ad essere chiamato a tutelare gli interessi legali. Il principio del minimo intervento, a sua volta, si manifesta su due principi: il principio di sussidiarietà e il principio di frammentazione.

Principio di Sussidiarietà

Si manifesta nell'espressione che, finché esiste un mezzo meno oneroso e più flessibile per la protezione di un bene giuridico, si è costretti a ricorrervi. È possibile ricorrere al diritto penale solo quando il bene giuridico in questione richiede una tutela penale, perché è impossibile proteggerlo attraverso altre leggi.

Principio di Frammentazione

Il diritto penale interviene solo per proteggere i beni giuridici più importanti e dagli attacchi più gravi. L'uso razionale del diritto penale oggi è determinato dal principio di sussidiarietà e dal principio di frammentazione.

Principio di Colpevolezza

Opera il principio di colpevolezza in due modi nel diritto penale: come limite materiale del diritto penale e come categoria dogmatica (uno degli elementi costitutivi del reato, insieme al fatto tipico e all'antigiuridicità). Ora ci interessa solo come limite materiale del diritto penale. È un limite orientato a guidare il lavoro del legislatore e un criterio per la determinazione della pena da parte del giudice. Come limite dello "ius puniendi" si dice abbia avuto origine nell'esistenza del libero arbitrio, che ha portato la dottrina a richiedere che, quando interviene il diritto penale e punisce un individuo, lo faccia perché, al momento del compimento del comportamento, l'individuo aveva l'opportunità di comprendere ciò che stava facendo e, con piena capacità, conosceva le conseguenze delle proprie azioni, in modo che il diritto penale debba punire solo fatti o eventi imputabili al soggetto. Il principio di colpevolezza serve, innanzitutto, al legislatore nella creazione delle fattispecie di reato. È anche un mandato per il giudice, perché serve come un limite per identificare la pena (per impostare la sanzione specifica). Il giudice tiene conto se la sua capacità sia assoluta o limitata rispetto all'atto, poiché il grado di colpevolezza è determinato dal grado di capacità (art. 20 del Codice penale: sono soggetti esenti da imputabilità per malattia mentale, sotto l'influenza di alcol o sotto l'effetto di droghe). Un altro limite per il giudice è se il comportamento è doloso o colposo. Non si può ritenere responsabile qualcuno che non possiede la piena capacità di intendere e di volere. Il principio di colpevolezza non è stato riconosciuto in precedenza nel codice penale, è apparso nell'83 ed è stato chiaramente definito nel '95. Le misure di sicurezza sono un ostacolo insormontabile al riconoscimento di questo principio di colpevolezza sulla base del principio di pericolo.

Principio di Proporzionalità

Il principio di proporzionalità rifiuta l'applicabilità di una norma o la creazione di una fattispecie che preveda pene sproporzionate rispetto al disvalore dell'atto commesso. È un principio che si rivolge sia al legislatore, nella formulazione della legge, sia alla magistratura, nell'applicazione della stessa, richiedendo di mantenere un rapporto equilibrato tra il delitto e la pena. Si dice che questo principio non abbia alcun riconoscimento costituzionale diretto, ma si desume dall'articolo 15 della Costituzione che prevede il divieto di trattamenti inumani e degradanti. Questo principio di proporzionalità si ottiene ponderando il peso coercitivo della pena e la finalità perseguita, escludendo la pena di morte. Teoricamente, la sanzione deve essere adeguata al grado di nocività della condotta ed è un principio sul quale la Corte Costituzionale si è pronunciata in numerose occasioni. Una menzione speciale merita la sentenza 136/1999 del 20 luglio 1999, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una disposizione relativa ai membri del Consiglio nazionale di Herri Batasuna. La Corte Costituzionale ha accolto la domanda con la motivazione che la decisione impugnata violava il principio di legalità sancito dall'articolo 25.1 della Costituzione, in relazione al principio di proporzionalità. La Corte Costituzionale ha stabilito i criteri per l'applicazione del principio di proporzionalità: la necessità di proteggere un bene giuridico (importanza legalmente sufficiente per l'imposizione di una sanzione penale). Il principio di proporzionalità deve essere determinato in base alla gravità della sanzione irrogata, correlata al comportamento commesso, tenendo conto sia del danno inerente al comportamento lesivo sia di fattori esterni (ad esempio, l'allarme sociale che si verifica). La finalità della pena può essere raggiunta o meno. Se lo scopo perseguito è raggiunto, la pena è giustificata; al contrario, se lo stesso scopo avrebbe potuto essere ottenuto con un rigore minore o in altro modo, anche se il comportamento è stato oggetto di una punizione esemplare, si parla di pena sproporzionata. Il principio di proporzionalità è fondamentale per la prevenzione e la repressione.

Principio di Umanità della Pena

Il principio di umanità della pena detiene riconoscimento giuridico diretto nella Costituzione, in particolare nel già citato articolo 15, e anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (articolo 12). Questo riconoscimento è una conseguenza logica dell'umanizzazione del diritto penale. La nostra Costituzione, all'articolo 25, prevede una serie di divieti, come il divieto di trattamenti inumani e degradanti, perché il diritto fondamentale alla dignità è quello che permea il sistema giuridico e da cui derivano gli altri diritti fondamentali. Da questo divieto nella Costituzione derivano una serie di conseguenze fondamentali:

  • Sono vietate le punizioni inocuizzatrici o esemplari.
  • È vietata la pena di morte.
  • Sono proibite le punizioni corporali, tra le quali includono mutilazione, castrazione, perdita di funzione di un organo, sterilizzazione, lapidazione, trattamenti psicochirurgici (come la lobotomia), il lavoro forzato.

Le lunghe pene detentive sono problematiche rispetto a questo principio, in quanto si parte dal presupposto che la vita carceraria possa comportare una trasformazione della personalità. Ecco perché diciamo che una pena detentiva di oltre 15 anni distrugge la personalità; tali sanzioni sono considerate immorali. La Costituzione non prevede sanzioni di oltre 15 anni di durata, ma possono essere prorogate.

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