Schopenhauer: Filosofia della Volontà, Pessimismo e Percorsi di Liberazione
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La Vita e le Opere di Schopenhauer
Qual è stata la formazione di Schopenhauer?
Arthur Schopenhauer nasce nel 1788 a Danzica, da una ricca famiglia di commercianti. La sua vita si svolge nelle più importanti città tedesche: Amburgo, Weimar, Berlino, Dresda e Francoforte.
Ricevuta un'eredità alla morte del padre, si dedica alla filosofia, interessandosi particolarmente a Platone e Kant. Deluso dall'insegnamento degli idealisti (soprattutto da quello di Fichte), collabora con Goethe nell'elaborazione di una teoria dei colori; in seguito, grazie agli insegnamenti dell'orientalista Mayer, viene a conoscenza delle Upanishad, testo fondamentale dell'antica tradizione filosofico-religiosa indiana che influenzerà profondamente il suo pensiero.
Il Rapporto con Kant: Debito e Distacco
Qual è il debito di Schopenhauer nei confronti di Kant?
Schopenhauer riprende da Kant la distinzione tra fenomeno e noumeno, o cosa in sé, e chiarisce che il primo è «rappresentazione», ovvero una costruzione ottenuta dal soggetto a partire dalla percezione di un oggetto che viene colto mediante alcune forme a priori. Il filosofo di Danzica condivide con Kant anche l'idea che il principio di ragion sufficiente non sia un principio ontologico, bensì epistemologico, cioè riguardante il modo in cui l'intelletto umano mette in relazione di causa-effetto le sue rappresentazioni. Gli oggetti di queste ultime sono a loro volta "individuati" mediante una collocazione spazio-temporale (che infatti costituisce il principio di "individuazione"). Rispetto a Kant, Schopenhauer riduce dunque a tre le forme a priori della conoscenza: spazio, tempo e causalità.
In che cosa Schopenhauer si allontana da Kant?
Il riferimento a Kant viene però profondamente modificato dall'affermazione che il mondo fenomenico, costituito dalla rappresentazione, è un'illusione, un «velo di Maya», cioè una realtà ingannevole dietro la quale si nasconde la realtà autentica, noumenica. Per Schopenhauer, inoltre, il noumeno non è inconoscibile (come riteneva Kant), bensì raggiungibile attraverso una particolare via d'accesso: il corpo. Questo, infatti, non è soltanto un fenomeno tra gli altri fenomeni: l’autocoscienza ce ne dà una conoscenza privilegiata, perché ci fa comprendere che la nostra volontà si realizza in movimenti corporei, quasi identificandosi con essi. Il corpo è dunque la manifestazione visibile di una forza invisibile che è la volontà, la quale si rivela come la nostra più profonda essenza: il noumeno.
La Metafisica della Volontà e il suo Esito Pessimistico
Quali sono i caratteri del noumeno?
La volontà umana non è che una manifestazione di una medesima «volontà di vivere» che anima tutto ciò che esiste e che costituisce il principio metafisico dell'intera realtà. Schopenhauer afferma che essa è unica e universale, in quanto si sottrae allo spazio e al tempo, e sta a fondamento di tutti i fenomeni naturali, sia inorganici sia organici. La volontà di vivere si oggettiva inizialmente attraverso le idee, che sono i modelli eterni delle sue possibili espressioni: mediante le idee avviene il passaggio alle diverse realtà individuali, le quali non sono altro che manifestazioni finite e momentanee della volontà. Questa, inoltre, non sottostà alle leggi fenomeniche, quindi è irrazionale e cieca: non ha alcun ordine da rispettare o scopo da perseguire, se non conservare sé stessa.
Qual è la visione del mondo di Schopenhauer?
La tendenza della volontà all'autoaffermazione porta tutti gli esseri a ingaggiare un'eterna lotta gli uni contro gli altri: il mondo è quindi teatro di violenza e di sopraffazione reciproche. Ogni ente, inoltre, ricerca continuamente gli oggetti che possono appagare le sue tensioni o i suoi desideri. Ma, anche quando li raggiunge, la gratificazione è soltanto una momentanea cessazione del dolore della mancanza; a tale cessazione di dolore subentra la noia e, in seguito, un nuovo desiderio, e quindi un nuovo dolore; per questo Schopenhauer afferma che la vita è un «pendolo tra dolore e noia». La sua visione del mondo è insomma profondamente irrazionalistica e pessimistica, lontana dalla visione razionalistica e ottimistica di Hegel.
Le Vie della Liberazione dal Dolore
Ha senso darsi la morte per mettere fine al dolore?
Schopenhauer è convinto che, per liberarsi dal dolore della vita, non si debba optare per il suicidio: questo, infatti, costituisce la scelta estrema di una persona che vorrebbe la vita ma rifiuta il dolore, nonché un atto che non elimina la volontà in sé, ma si limita a sopprimere un individuo.
In che modo l'arte libera dalla sofferenza della vita?
È possibile liberarsi dalla sofferenza soltanto intraprendendo un percorso che passa attraverso l'arte, l'etica e l'ascesi. L'arte, in particolare, si allontana dal mondo dell'apparenza illusoria perché è contemplazione delle idee, e quindi della cosa in sé. Nella sua opera, l'artista contempla un'idea universale e la "ri-crea" in un oggetto estetico (ad esempio nella raffigurazione di un tramonto): in questo modo gode di un momentaneo assopimento del dolore. Le diverse arti sono ordinate da Schopenhauer in una gerarchia che al grado più basso vede le tecniche in cui la materialità è maggiormente presente (architettura, pittura, scultura), per arrivare fino a quelle in cui la materialità è minore (poesia e musica). La musica, in particolare, secondo Schopenhauer ci mette direttamente in contatto con la radice metafisica del mondo.
L'uomo è veramente libero?
Mentre l'arte offre un rimedio momentaneo al dolore, l'etica ne fornisce uno più duraturo. Elaborando la propria dottrina morale, Schopenhauer si confronta (distanziandosene) con la concezione kantiana della libertà, chiarendo che l'uomo non è libero, sebbene si illuda di essere tale. Soltanto la volontà è libera, in quanto non vincolata al principio di ragion sufficiente, mentre il singolo essere umano è libero solamente nella misura in cui "fa parte" della volontà universale.
Come si svolge il percorso dell'etica?
L'atteggiamento etico ha origine dalla compassione, vale a dire dalla capacità di comprendere e sentire le sofferenze altrui come se fossero le nostre: così facendo, riconosciamo noi stessi e gli altri come accomunati da un unico e universale dolore.
A partire dal sentimento fondamentale della compassione, l'atteggiamento etico si articola in giustizia e carità: la prima consiste sostanzialmente nel porre un freno alla propria volontà, in modo da non negare quella altrui; la seconda si esprime come agápe, cioè come amore disinteressato che può spingersi fino al sacrificio della propria vita. L'agápe si distingue dall'éros, cioè dall'amore carnale, che risponde a un sentimento egoistico di affermazione di sé e di autoconservazione.
È possibile cessare di volere?
La piena liberazione dal dolore richiede, secondo Schopenhauer, un'autentica e totale negazione della volontà: si tratta cioè di trasformare la voluntas in noluntas.
Ciò è possibile soltanto nell'ascesi, che si realizza con un cammino di digiuno, castità, abnegazione e rinuncia. Facendo riferimento all'elemento ascetico presente nelle grandi tradizioni religiose, dal cristianesimo al buddismo, Schopenhauer afferma che l'asceta supera la propria individualità e la dimensione fenomenica, annullando la volontà in una assoluta assenza di desideri.