Virgilio: Biografia, Capolavori e Influenze nella Letteratura Romana

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La Vita di Publio Virgilio Marone

Virgilio nasce ad Andes, vicino Mantova, il 15 ottobre del 70 a.C. da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Studia grammatica a Cremona e, giunto a Roma, è allievo del retore Epidio. Fallito il tentativo nella carriera forense, si dedica alla poesia e si avvicina all'epicureismo, frequentando la scuola di Napoli, di Sirone e Filodemo di Gadara. Estraneo alla vita pubblica e agli intrighi della tarda repubblica, Virgilio si tiene lontano dalla scena politica e vive solo indirettamente il dramma delle guerre civili quando, dopo la battaglia di Filippi (42 a.C.), gli vengono sottratti dei terreni destinati ai veterani di Ottaviano. Subito dopo, Virgilio inizia a lavorare alle opere che lo avrebbero reso famoso a Roma: nel 39 a.C. pubblica le Bucoliche e conosce Mecenate, il quale lo introduce nel mondo degli intellettuali romani. Dal 37 al 30 a.C. lavorò alle Georgiche e successivamente all'Eneide, opera rimasta parzialmente incompiuta per la sua morte improvvisa, avvenuta a Brindisi nel 19 a.C., di ritorno da un viaggio in Grecia.

Le Opere Maggiori di Virgilio

Le Bucoliche

Scritte tra il 42 e il 39 a.C., le Bucoliche (dal greco boukolos, «pastore»), o Ecloghe («Canti scelti»), sono una raccolta di dieci componimenti pastorali in esametri, che dipingono scene di vita campestre in cui pastori, mietitori, caprai e bovari vivono serenamente lontano dalla città, dilettandosi in gare di poesia. Virgilio si ispira agli Idilli del poeta greco Teocrito (III secolo a.C.), da cui prende spunto per l'ambientazione e i personaggi, ma rielabora con nuova sensibilità i motivi della poesia bucolica. La natura virgiliana non è l'abbagliante campagna siciliana di Teocrito, ma un luogo irreale, animato da una profonda e intima malinconia. L'ambientazione agreste, inoltre, è usata per mascherare vicende, ispirate a fatti reali, in cui i protagonisti riflettono sulle ingiustizie della vita (come le espropriazioni di terreni per i veterani). Le Bucoliche sono un nostalgico rimpianto per la semplicità della vita agreste in un periodo di forte urbanizzazione.

Le Georgiche

Le Georgiche sono un poema didascalico in esametri sulla coltivazione dei campi, composto su esortazione di Mecenate, in cui Virgilio celebra i valori tradizionali che animano la vita agreste. Divisa in quattro libri (che trattano rispettivamente la cerealicoltura, l'arboricoltura, l'allevamento e l'apicoltura), l'opera presenta una struttura complessa e ricca di rimandi interni, a cui Virgilio lavorò per ben sette anni (37-30 a.C.). I libri presentano un ordine ben studiato (si passa dalle attività più faticose a quelle che richiedono meno lavoro) e sono idealmente raggruppati in coppie: i libri I e III hanno proemi molto ampi e si concludono con cattivi presagi (l'avvento delle guerre civili e l'epidemia di animali nel Norico); i libri II e IV hanno proemi brevi e si concludono con la lode della vita nei campi (II) e il racconto della miracolosa rinascita delle api di Aristeo (IV).

L'Eneide

Tornando vittorioso da Azio (31 a.C.), Ottaviano invitò Virgilio a dedicarsi alla stesura di un poema epico che celebri il mito delle origini di Roma e della gens Iulia. Nonostante sia priva della revisione finale, l'Eneide è la maggiore espressione del genio poetico di Virgilio. I libri I-VI, che raccontano il viaggio di Enea da Troia, sono ispirati all'Odissea; i libri VII-XII, che narrano la guerra per l'occupazione del Lazio, hanno come modello l'Iliade. La matrice omerica è evidente, ma Virgilio riesce abilmente a innestarvi anche echi della letteratura ellenistica e dell'epica latina di Ennio e Nevio, da cui riprende l'intreccio di storia e mito. Il racconto non è oggettivo, com'era nell'epica tradizionale; l'autore-narratore interviene con commenti e chiose, che rivelano la velata malinconia che percorre il poema: Virgilio celebra Roma, ma anche la precarietà dell'esistenza e l'incombere della morte e del dolore. Anche i personaggi sono originali: Enea non è un eroe solo davanti al suo destino, ma sente il peso del fato e della storia, e, animato dalla pietas (il rispetto degli dèi e il senso del dovere), è costretto a rinunciare a ciò che desidera per il bene del futuro popolo di Roma.

Estratti dalle Opere di Virgilio

Dalle Bucoliche: Ecloga IV (La Nascita del Fanciullo Divino)

v. 1    Muse siciliane, cantiamo argomenti un po’ più elevati; non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici; se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console. È giunta ormai l’ultima età del carme cumano,

v. 5    nasce daccapo un grande ciclo di secoli; già torna la Vergine e ritornano i regni di Saturno, già una nuova progenie viene mandata dall’alto del cielo. Tu, o casta Lucina, sii favorevole al bambino che ora nasce con cui per la prima volta cesserà la generazione del ferro

v. 10    e in tutto il mondo nascerà quella dell’oro: già regna il tuo Apollo. Proprio sotto il tuo consolato incomincerà questa età gloriosa, o Pollione, e incominceranno a trascorrere i grandi mesi; sotto la tua guida, se rimangono alcune tracce della nostra scelleratezza, rese vane, libereranno le terre dalla continua paura.

v. 15    Egli riceverà la vita degli dei e vedrà gli eroi mescolati agli dei, ed egli stesso sarà visto con loro e reggerà il mondo pacato dalle virtù paterne (oppure: reggerà con le virtù paterne). Intanto la terra, senza essere coltivata, effonderà per te, o fanciullo, i primi piccoli doni, edere erranti qua e là col baccare

v. 20    e la colocasia mista al ridente acanto. Le caprette da sole riporteranno a casa le mammelle gonfie di latte e gli armenti non temeranno i grandi leoni. La culla stessa effonderà per te deliziosi fiori. Morirà anche il serpente e l'ingannevole erba del veleno

v. 25    morirà; dovunque nascerà l'amomo assiro. Ma non appena potrai leggere le lodi degli eroi e le imprese del padre e potrai conoscere che cosa sia la virtù, a poco a poco la pianura biondeggerà di flessuose spighe, dai rovi selvatici penderà la rosseggiante uva

v. 30    e le dure querce trasuderanno rugiadosi mieli. Rimarranno tuttavia poche tracce dell’antica colpa che spingeranno a tentare Teti con le navi, a cingere di mura le città, a tracciare solchi nella terra. Ci sarà allora un secondo Tifi e una seconda Argo per portare

v. 35    eroi scelti; ci saranno anche altre guerre e di nuovo il grande Achille sarà mandato a Troia. Quindi, quando l’età ormai matura ti avrà reso uomo, si ritirerà anche il navigante spontaneamente né le navi scambieranno le merci, ogni terra produrrà tutto.

v. 40    La terra non patirà i rastrelli, la vigna non la falce, anche il robusto aratore toglierà ormai il giogo ai tori; e la lana non imparerà a fingere i vari colori, ma da solo sui prati l’ariete cambierà il vello ora con la porpora che rosseggia soave, ora con il giallo zafferano;

v. 45    spontaneamente il sandice rivestirà gli agnelli che pascolano. “Filate in fretta tali secoli!” dissero ai loro fusi le Parche concordi nello stabile volere dei fati. Assurgi ai grandi onori (sarà tempo ormai) o cara prole degli dei, grande progenie di Giove.

v. 50    Guarda il mondo che annuisce nella sua mole convessa e le terre e le distese del mare e il cielo profondo; guarda come tutte le cose si allietino per il secolo che sta per venire. Oh, possa rimanermi l’ultima parte di una lunga vita e tanta ispirazione quanta mi sarà sufficiente a cantare le tue imprese!

v. 55    Non mi vinceranno nel canto né il tracio Orfeo, né Lino; sebbene all’uno sia di aiuto la madre, all’altro il padre, ad Orfeo Calliope, a Lino il bell’Apollo. Anche Pan, se gareggiasse con me, giudice l’Arcadia, anche Pan, giudice l’Arcadia, si dichiarerebbe vinto.

v. 60    Incomincia, piccolo bambino, a riconoscere la madre dal sorriso: alla madre dieci mesi arrecarono lunghe sofferenze. Incomincia, piccolo bambino: al quale non sorrisero i genitori né un dio lo degna della sua mensa, né una dea del suo letto.

Dalle Georgiche: Libro II, vv. 458-542 (Lode della Vita Contadina)

O troppo fortunati, se conoscono i propri vantaggi, agricoltori! Per loro spontaneamente, lontano dalle armi discordi effonde al suolo facile sostentamento giustissima la terra. Se un'alta casa dagli atrii superbi non emette un'immensa ondata di persone che salutano al mattino in tutto il palazzo, né guardano a bocca aperta stipiti intarsiati di bella testuggine e vesti ricamate d'oro e bronzi corinzii, né la bianca lana viene intrisa di veleno assirio, né l'uso del limpido olio d'oliva viene alterato dalla cannella; però, sicura tranquillità e vita incapace di ingannare, ricca di vari prodotti; però, ozii nei vasti fondi, spelonche e laghi ricchi di vita e fresche vallate di Tempe, e muggiti di buoi e placidi sonni sotto un albero non mancano; là, boschi e tane di fiere e gioventù capace di sopportare i lavori e assuefatta al poco, sacralità degli dei e rispetto dei padri; tra loro le ultime tracce lasciò la Giustizia ritirandosi dal mondo. Me, poi, innanzitutto le Muse, care prima di ogni cosa, la cui religione diffondo animato da grandissimo amore, accolgano, e indichino le vie del cielo e le stelle, le varie eclissi del sole e le fasi della luna; donde, tremore alle terre, per quale forza i mari profondi si gonfino, rotti gli argini, e di nuovo essi stessi si raccolgano in sé; perché tanto si affrettino a bagnarsi nell'Oceano i soli invernali, o quale indugio ostacoli le notti che si attardano. Se invece che io possa affrontare questi aspetti della natura, freddo sangue impedirà attorno al cuore, mi piacciano le campagne e i corsi ricchi d'acqua nelle valli, possa io amare fiumi e selve, rinunciando alla gloria. Oh, dove i campi, e lo Spercheo e, percorso dalle ragazze della Laconia, il Taigeto! Oh! Qualcuno che nelle fresche convalli dell'Emo mi collochi, e protegga con l'ampia ombra dei rami! Felice colui che poté conoscere le cause dei fenomeni, e tutti i timori e l'inesorabile fato gettò sotto ai piedi e lo strepito dell'avido Acheronte. Fortunato anche colui che conosce gli dei agresti, e Pan e il vecchio Silvano e le Ninfe sorelle. Quello non i fasci del popolo, non la porpora dei re piegarono, e la Discordia che agita fratelli infidi, o i Daci che, impegnatisi con giuramento, scendono dall'Istro, non le vicende romane e i regni destinati a finire; né quello soffrì commiserando un povero o provò invidia per uno che ha. Quei frutti che i rami, quelli che le campagne stesse ben volentieri spontaneamente produssero, egli raccolse, né vide ferree leggi e il foro dissennato o gli archivi del popolo. Alcuni agitano con i remi tratti di mare tempestosi, e si precipitano alle armi, penetrano le corti e i limitari dei re; questo aggredisce con stragi la città e i miseri penati per bere in una coppa di pietra preziosa e dormire in porpora di Tiro; un altro nasconde ricchezze e veglia sull'oro sepolto; questo si stupisce attonito ai rostri; questo, a bocca aperta, l'applauso nel teatro, raddoppiato infatti dalla plebe e dai patrizi, ha conquistato; si rallegrano cosparsi del sangue dei fratelli e nell'esilio cambiano case e care abitazioni, e cercano una patria che giace sotto un altro sole. L'agricoltore ha smosso la terra col curvo aratro: da qui la fatica dell'annata, da qui la patria e i piccoli nipoti sostiene; da qui gli armenti di buoi e i meritevoli giovenchi. Né vi è riposo dal fatto che l'annata trabocchi o di frutta, o dei piccoli del bestiame, o di covoni della spiga di Cerere, e col raccolto riempia i solchi e superi i granai. È arrivato l'inverno: la bacca di Sicione viene schiacciata dai frantoi; i maiali tornano sazi di ghiande, le selve producono bacche; e l'autunno depone vari prodotti, e in alto la dolce vendemmia si secca su rocce assolate. Intanto i cari piccoli stanno in braccio in mezzo ai baci; casta la casa osserva la pudicizia; le vacche lasciano pendere mammelle piene di latte; e grassi nell'erba rigogliosa tra loro lottano con le corna puntate i capretti. Il padrone celebra le giornate festive e, sdraiato nell'erba, dove nel mezzo il fuoco e i compagni incoronano il cratere, te, Leneo, invoca libando, e per i responsabili del bestiame pone in un olmo gare della veloce freccia, e denudano per una lotta agreste i corpi induriti. Questa vita un tempo praticarono i vecchi Sabini, questa Remo e il fratello; così crebbe forte l'Etruria naturalmente, e Roma divenne la più bella delle cose, e lei sola si circondò con un muro le sette alture. Ancora prima dello scettro del re Ditteo, e prima che l'empia gente banchettasse dopo aver ucciso giovenchi, aureo Saturno questa vita nel mondo conduceva; né ancora avevano sentito suonare le trombe di guerra, né ancora rumoreggiare le spade messe sulle dure incudini. Ma noi abbiamo percorso una distesa smisurata per distanza, e ormai è tempo di sciogliere i colli fumanti dei cavalli.

Dall'Eneide: Libro I, vv. 1-11 (Proemio)

Canto le armi e l'eroe, il quale per primo dalle coste di Troia
giunse in Italia, profugo per volere del fato, e alle spiagge
di Lavinio, egli che fu sballottato ampiamente per terra e per mare
dalla potenza degli dei a causa dell'ira memore della crudele Giunone;
e sopportò molto anche in guerra, pur di fondare la città,
e portare gli dei nel Lazio, da cui la stirpe latina,
e i padri albani, e le mura dell'alta Roma.
Musa, ricordami le cause, per quale volontà divina offesa,
o perché addolorata, la regina degli dei costrinse un eroe
illustre per devozione ad affrontare tante vicende e
a subire tante fatiche. Così profonda l'ira nell'animo dei celesti?

Dall'Eneide: Libro II, vv. 199-227 (La Morte di Laocoonte)

Qui un nuovo avvenimento, più grande
e molto più orrendo, si offre agli sventurati, e turba i cuori
sorpresi. Laocoonte, sacerdote tratto a sorte a Nettuno,
immolava un grande toro presso le are solenni.
Ma ecco da Tenedo, in coppia per le profonde acque tranquille
- inorridisco a raccontarlo - due serpenti con immense volute
incombono sul mare, e parimenti si dirigono alla riva;
i petti erti tra i flutti e le creste sanguigne
sovrastano le onde; tutta l'altra parte
sfiora il mare da tergo e incurva in spire gli enormi dorsi;
scroscia il gorgo schiumante. E già approdavano,
e iniettati di sangue e di fuoco gli occhi che ardevano,
lambivano con lingue vibrate le bocche sibilanti.
Fuggiamo esangui a quella vista. I serpenti con marcia sicura
si dirigono su Laocoonte; e prima l'uno e l'altro
serpente avvinghiano i piccoli corpi dei due figli
e li serrano, e a morsi si pascono delle misere membra;
poi afferrano e stringono in grandi spire
lui che sopraggiunge in aiuto e brandisce le armi;
avvintolo due volte alla vita, e attortisi al collo
due volte con le terga squamose, sovrastano con il capo
e con l'alte cervici. Egli si sforza di svellere
i nodi con la forza delle mani, cosparso le bende di sangue
corrotto e di nero veleno, e leva orrendi clamori
alle stelle: quali i muggiti d'un toro ferito che fugge
dall'ara, e scuote via dal collo la scure malcerta.
Strisciando in coppia i due draghi fuggono verso l'alto
santuario e muovono verso la rocca della crudele Tritonide;
si acquattano ai piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo.

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