Domanda riconvenzionale
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LA SFERA DELLA DISTRIBUZIONE
Teorie alternative sulla distribuzione del reddito PAG. 2
Il problema della distribuzione del reddito è sempre stato al centro di un notevole dibattito: per gli aspetti politici e sociali a esso connessi, si può anzi dire che è il tema più importante e più controverso dell'economia. Per distribuzione del reddito si intende il modo in cui il flusso di ricchezza prodotta in un sistema economico viene ripartito tra i soggetti che hanno collaborato a produrlo.
Teorie alternative sulla distribuzione del reddito PAG. 3
La teoria classica: il profitto come residuo.
Questa teoria fu elaborata da Adam Smith e David Ricardo: sostiene che il salario è fissato al livello di sussistenza e il profitto è il residuo che resta all'imprenditore dopo che ha pagato tutti gli altri fattori produttivi.
Teorie alternative sulla distribuzione del reddito PAG. 4
La teoria neoclassica: i redditi come remunerazione dei singoli fattori
La teoria neoclassica sulla distribuzione del reddito, elaborata dai marginalisti, afferma che il salario, l'interesse, la rendita e il profitto dipendono dal contributo specifico che ciascun fattore (lavoro, capitale, terra, organizzazione) dà al processo produttivo.
Teorie alternative sulla distribuzione del reddito PAG. 5
La teoria neokeynesiana: il salario come residuo
Elaborata dei seguaci di Keynes, questa teoria sostiene che, una volta determinato il livello degli investimenti e il relativo tasso di sviluppo del sistema economico, il salario e non il profitto è un residuo: infatti il profitto serve a finanziare gli investimenti, e ciò che resta andrà ai salari.
Teorie alternative sulla distribuzione del reddito PAG. 6
Teorie sociali e teoria funzionale.
La teoria classica e la teoria neokeynesiana, che tengono conto di elementi storico-sociali sono anche definite teorie sociali, mentre la teoria neoclassica che vede la distribuzione del reddito governata da leggi di mercato è definita anche teoria funzionale.
Il salario PAG. 7
Il salario è la remunerazione che il lavoratore riceve per il lavoro prestato alle imprese o allo Stato. Precisiamo che qui intendiamo questa definizione nel senso tradizionale che risale ai classici inglesi come comprendente tutte le retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti, senza distinguere tra salario come retribuzione degli operai e stipendio come retribuzione degli impiegati.
Salari reali e nominali PAG. 8
Il salario nominale (o monetario) è costituito dalla quantità di moneta che il lavoratore riceve in una unità di tempo. Il salario reale è commisurato alla quantità di beni e servizi che il lavoratore può acquistare sul mercato.
Salari reali e nominali PAG. 9
I salari nominali coincidono con i salari reali quando il livello dei prezzi non varia nel tempo, cioè quando il sistema è caratterizzato da stabilità monetaria. Sé invece il potere di acquisto della moneta subisce una diminuzione nel tempo, viene meno la coincidenza fra i valori del salario nominale del salario reale. Il salario reale, quindi, dipende dal livello del salario nominale e dall'indice dei prezzi dei beni al consumo.
Le componenti del salario e il costo del lavoro PAG. 11
il salario netto del lavoratore si ottiene sottraendo dal salario lordo le seguenti voci:
• trattenute fiscali, costituite dalle imposte che sono versate al fisco direttamente dall'imprenditore che funge da sostituto di imposta;
• oneri sociali a favore degli enti previdenziali e assistenziali (INPS, INAIL) versati direttamente dall'imprenditore, anche per conto del lavoratore.
Le componenti del salario e il costo del lavoro PAG. 12
salario netto (al lavoratore)
+ trattenute fiscali (allo Stato)
+ oneri sociali a carico del lavoratore (allo Stato)
= salario lordo
+ oneri sociali a carico dell'imprenditore (allo Stato)
=costo del lavoro
Il salario nella teoria economica PAG. 13
Il livello del salario ha dato origine a varie teorie:
• la teoria del salario di sussistenza;
• la teoria dell' esercito industriale di riserva;
• teoria della produttività marginale del lavoro.
Il salario nella teoria economica PAG. 14
La teoria del salario di sussistenza, secondo cui il valore normale dei salari tende a collocarsi a livello di sussistenza dei lavoratori, fu elaborata nel primo decennio dell'Ottocento da David Ricardo, e risente fortemente della teoria della popolazione di Malthus. Secondo Ricardo, sé il salario è inferiore al livello di sussistenza -livello minimo dei consumi, al di sotto del quale i lavoratori non possono sopravvivere – peggiora il livello di vita dei lavoratori, con la conseguenza di un aumento della mortalità e una diminuzione della natalità dei lavoratori. Il risultato è la diminuzione dell'offerta di lavoro che provoca un aumento del salario fino al livello di sussistenza. Quando invece il salario è superiore al livello di sussistenza, le migliorate condizioni di vita lavoratori fanno diminuire la mortalità e aumentare la natalità e quindi l'offerta di lavoro finché il livello dei salari scende a livello di sussistenza.
Il salario nella teoria economica PAG. 15
La teoria dell’esercito industriale di riserva, si rifà alla scuola socialista e a Karl Marx il quale dopo aver identificato lo stato di sfruttamento dei lavoratori, attraverso le teorie riguardanti il plus-lavoro e il plusvalore che abbiamo trattato lo scorso anno, introduce questa ulteriore teoria secondo la quale i lavoratori sfruttati –proletari secondo la terminologia marxistacostituiscono l’esercito industriale di riserva e quando prenderanno coscienza della loro condizione libereranno il loro potenziale rivoluzionario e abbatteranno il sistema capitalistico.
La teoria della produttività marginale del lavoro PAG. 16
I marginalisti (Jevons, Marshall, Menger e Walras) hanno sostenuto che il livello del salario è determinato dal prodotto marginale del lavoro. Per i marginalisti ogni fattore produttivo è remunerato a seconda della sua produttività marginale: a questa legge non si sottrae il salario del lavoratore, come del resto non si sottrae il profitto dell'imprenditore. Da ciò segue che :
• un aumento della produttività del lavoro fa aumentare anche il livello del salario;
• un aumento dei salari superiore a quello della produttività del lavoro è causa di disoccupazione.
Il profitto PAG. 17
Il profitto è il reddito percepito dall'imprenditore per la sua attività di organizzazione e gestione dell'impresa. È costituito dalla differenza tra i ricavi e i costi di produzione.
Dato che il profitto è ciò che rimane all'imprenditore dopo che ha pagato i salari, gli interessi e le rendite, esso ha natura residuale.
Marshall: profitto ed extraprofitto PAG. 18
L'economista neoclassico inglese Alfred Marshall 1842- 1924 distingue tra :
• profitto normale, che è la parte del costo di produzione che spetta all'imprenditore per la sua attività di organizzazione, livello di reddito al di sotto del quale l'imprenditore rinuncia a svolgere la sua attività;
• extraprofitto, che è l'eccedenza fra il ricavo realizzato dalle vendite e il costo di produzione, comprensivo del profitto normale, percepito dall'imprenditore in situazioni di mercato particolarmente favorevoli.
Composizione del profitto PAG. 19
Il profitto normale si può teoricamente distinguere nei seguenti elementi costitutivi:
• profitto come salario di direzione, che remunera l’attività organizzativa dell'imprenditore;
• profitto come interesse sui capitali investiti, che remunera i capitali investiti nel processo produttivo;
• profitto come premio per il rischio, che remunera l'imprenditore per il rischio affrontato.
Obiettivi dell’impresa moderna PAG. 21
La moderna impresa a forma societaria non punta a realizzare il massimo profitto, ma a massimizzare il fatturato, pianificando nel tempo la distribuzione dei dividendi in modo da soddisfare gli azionisti (potere senza proprietà). Quindi, il profitto tende a divenire la sola retribuzione per il rischio affrontato dagli azionisti finanziatori, dato che l'attività direzionale è affidata a un management stipendiato.
Saggio di profitto ed efficienza PAG. 22
Il saggio di profitto è il rapporto percentuale tra il profitto e l'ammontare del capitale investito nell'impresa. In pratica: sé il capitale impiegato in un'impresa è di dieci milioni di euro e il profitto è stato di un milione il saggio di profitto sarà: p=1/10= 10%
Il calcolo del profitto assume rilevante importanza in molti problemi di confronto nel tempo e nello spazio. Il profitto infatti è un importante indicatore economico di efficienza e rappresenta quindi un incentivo che spinge gli imprenditori a esplorare nuove possibilità, migliorare l'impresa, introdurre nuove tecnologie.
L’interesse PAG. 23
L'interesse è il compenso corrisposto da colui che ha ricevuto un prestito a colui che glielo concede. L'interesse viene anche definito prezzo per l'uso temporaneo del risparmio. Esso si giustifica con la rinuncia che il risparmiatore deve sopportare rimandando l'utilizzo del proprio denaro per soddisfare i suoi bisogni e come compenso per il rischio che chi riceve il prestito non lo restituisca alla scadenza.
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 24
La misura dell'interesse, detto tasso o saggio di interesse ( 𝑖 ) si determina ponendo in rapporto la somma corrisposta a titolo di interesse e il capitale prestato e si esprime in percentuale su base annua.
𝑖 = 𝒔𝒐𝒎𝒎𝒂 𝒄𝒐𝒓𝒓𝒊𝒔𝒑𝒐𝒔𝒕𝒂 𝒂 𝒕𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝒅𝒊 𝒊𝒏𝒕𝒆𝒓𝒆𝒔𝒔𝒆 /𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒂𝒍𝒆 𝒑𝒓𝒆𝒔𝒕𝒂𝒕𝒐
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 25
Il tasso di interesse dipende da svariati fattori, come la durata del prestito, l'importo del capitale prestato, la solvibilità del debitore (cioè la sua capacità di pagare effettivamente il debito).
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 26
Per difendere il valore del tasso di interesse dalla svalutazione della moneta dovuta all'inflazione si USA di solito agganciare gli interessi all'andamento dell'inflazione stessa, così come accertato dall‘Istat. Si parla in questo caso di tasso indicizzato. Si tratta di un tasso variabile aggiornato annualmente in base agli indici dell'inflazione pubblicati periodicamente.
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 27
L'ordinamento giuridico italiano ha fissato il limite massimo per i tassi di interesse allo scopo di impedire il diffondersi della pratica dell'usura. Dal 2011 la legge prevede che il tasso soglia di usura (cioè il limite massimo di interesse applicabile oltre il quale si applicano le sanzioni in materia di usura) si calcoli in base al tasso effettivo globale medio dei vari settori, secondo la tabella allegata ad apposito decreto emanato trimestralmente dal MEF (Ministero dell’Economia e delle finanze).
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 28
Tasso soglia usura- Formula
Il limite oltre il quale gli interessi sono ritenuti usurari è calcolato aumentando il tasso effettivo globale medio (TEGM) del 25%, ed aggiungendo al valore ottenuto un margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il tasso di usura e il tasso medio non può essere comunque superiore a otto punti percentuali.
L’interesse – Il tasso di interesse PAG. 29
Tasso soglia usura- Sviluppo
Nell’ultimo trimestre del 2020 il TEGM era pari per il settore «prestiti personali» a 8,68%.
Rileggiamo la prima parte della formula e applichiamo 𝑇𝑆𝑈=𝑇𝐸𝐺𝑀∗1,25+4=8,68∗1,25+4=10,85+4=14,85 Rileggiamo la seconda parte della formula e applichiamo 𝑇𝑆𝑈=𝑇𝐸𝐺𝑀+8= 8,68 +8=16,68
Dovendo scegliere il valore minimo tra i due possiamo concludere che a Dicembre 2020 il tasso soglia usura per i prestiti personali è pari al 14,25%.
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria classica PAG. 30
Per i classici ed i neoclassici anche l'interesse segue le dinamiche del mercato concorrenziale sul mercato dei capitali. L'offerta è rappresentata dai risparmiatori e la domanda dagli Imprenditori e l'interesse è il prezzo che inevitabilmente raggiunge il punto di equilibrio in corrispondenza del quale offerta e domanda si equivalgono. Al crescere del saggio di interesse, diminuirà la domanda delle imprese e aumenterà l'offerta dei risparmiatori.
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria keynesiana PAG. 31
Per Keynes, invece, il mercato dei capitali è influenzato principalmente dal livello del reddito. Ciò che determina il saggio di interesse per Keynes è quella che lui definisce la preferenza per la liquidità.
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria keynesiana PAG. 32
Keynes riteneva i che risparmiatori si trovassero sempre di fronte ad una alternativa su come destinare il proprio risparmio: acquistare titoli per ricavarne un interesse, oppure trattenere moneta presso di sé per le occorrenze quotidiane, immediatamente disponibile (liquidità). La liquidità assicura al risparmiatore il vantaggio di poter prontamente soddisfare le proprie esigenze.
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria keynesiana PAG. 33
La domanda di liquidità dipenderebbe essenzialmente da motivi:
• transazionali (cioè per fare acquisti);
• precauzionali (per fronteggiare pagamenti imprevisti);
• speculativi (per acquistare titoli al momento propizio quando le prospettive di rendimento sono più alte).
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria keynesiana PAG. 34
Keynes sostiene che l'interesse non esercita alcuna influenza sul risparmio (che è condizionato dal reddito), né determina automaticamente il livello degli investimenti (che dipendono anche delle efficienza marginale del capitale) ma soltanto sulla quota di risparmio detenuta in forma liquida.
Le principali teorie economiche sull’interesse La teoria keynesiana PAG. 35
Keynes sostiene che l'interesse non esercita alcuna influenza sul risparmio (che è condizionato dal reddito), né determina automaticamente il livello degli investimenti (che dipendono anche delle efficienza marginale del capitale) ma soltanto sulla quota di risparmio detenuta in forma liquida.
La rendita PAG. 36
L'utilizzazione del fattore produttivo natura viene compensato con la rendita. In senso stretto, il fattore produttivo natura ha la caratteristica di essere limitato e non riproducibile in natura. Ne deriva che l'offerta di tali beni è fissa e, di conseguenza il prezzo di mercato è determinato esclusivamente dalle variazioni della domanda.
La rendita PAG. 37
In generale la rendita è la remunerazione di tutti quei fattori la cui offerta è determinata dalla natura, come le miniere e i giacimenti petroliferi. Vengono considerate rendite, tuttavia, anche i redditi derivanti da particolari abilità personali (la remunerazione di un famoso tenore dalla voce ineguagliabile) o da brevetti (che assicurano lo sfruttamento economico esclusivo di un'invenzione a favore del suo autore per vent'anni).
La quasi rendita PAG. 38
Un particolare tipo di rendita, detta quasi rendita (o rendita marshalliana), è quella corrisposta per l'utilizzo di un fattore produttivo solo temporaneamente non riproducibile, come nel caso di un macchinario di nuova progettazione coperto da un brevetto.
Rendita assoluta e differenziale PAG. 39
Si deve a David Ricardo la distinzione tra:
• rendita assoluta
• rendita differenziale.
La rendita assoluta e ciò che viene pagato al proprietario per l'uso di un bene non riproducibile, disponibile in quantità limitata, indipendentemente dalle caratteristiche del bene e dipende dalla scarsità del bene.
La rendita differenziale sarebbe invece il compenso aggiuntivo corrisposto ai proprietari dei fondi più produttivi.
Rendita assoluta e differenziale PAG. 40
Proprio perché i terreni più fertili producono di più, i proprietari possono pretendere una rendita maggiore. La rendita differenziale aumenta in relazione alla messa a coltura dei terreni meno fertili, fino ad arrivare al terreno a fertilità più bassa, per il quale il proprietario potrebbe pretendere solo la rendita assoluta ma nessuna rendita differenziale.
Rendita assoluta e differenziale PAG. 41
Ricardo spiega questo concetto partendo da alcune premesse:
• la quantità della terra non è illimitata;
• la sua qualità non è uniforme, avendo i terreni diversi livelli di fertilità;
• con l'aumento della popolazione si deve coltivare la terra di qualità inferiore e ubicata meno vantaggiosamente.
Rendita assoluta e differenziale PAG. 42
Quando si mette a coltura la terra del secondo grado di fertilità, comincia immediatamente la rendita differenziale sul terreno di prima qualità; quando si mette a coltura il terreno di terza qualità comincia la rendita del terreno di seconda e aumenta la rendita del terreno di prima qualità, e così via dicendo. Ricardo osserva come l'incremento della popolazione, e quindi la messa a coltura di nuovi campi, andassero a vantaggio dei proprietari terrieri, specialmente di quelli dei terreni più fertili.
La rendita di posizione PAG. 43
Una figura particolare di rendita differenziale, che riguarda soprattutto la proprietà edilizia, è la cosiddetta rendita di posizione. Essa indica il compenso aggiuntivo spettante al titolare di immobili che godono di una collocazione sul territorio particolarmente vantaggiosa e quindi più produttiva. È il caso, per esempio, del negozio situato in una zona centrale, di uno stabilimento industriale posto vicino alle principali vie di comunicazione ecc.
LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO
Per chi produrre? PAG. 2
Tra le domande fondamentali che il problema economico pone via è quella del «per chi produrre», cioè di come è ripartita la ricchezza, rappresentata dal reddito nazionale, tra i diversi soggetti economici. È questo, in sostanza, il problema della distribuzione del reddito di cui la scienza economica si è occupata da sempre. La distribuzione del reddito è il modo in cui la ricchezza prodotta nel sistema viene ripartita tra i soggetti che hanno contribuito a realizzarla.
La rilevanza sociale della distribuzione PAG. 3
La questione della distribuzione del reddito è delicata a causa di forti tensioni all'interno della società. Nello stabilire i criteri di ripartizione della ricchezza prodotta si finisce inevitabilmente per privilegiare certe categorie sociali a scapito di altre. Le classi meglio rappresentate politicamente cercheranno di far valere principi distributivi a loro più vantaggiosi, magari giustificandoli con la maggiore importanza del loro apporto al benessere collettivo, e utilizzeranno gli strumenti giuridici e fiscali più appropriati per imporli.
La rilevanza sociale della distribuzione PAG. 4
L'aspetto sociale del problema distributivo si manifesta in tutta la sua importanza sé si esamina il fenomeno nella sua dimensione planetaria. Oltre l‘80% per cento della ricchezza prodotta nel mondo viene consumata da meno del 20% soltanto della popolazione. Il che vuol dire che più dell’80% della popolazione si deve accontentare di meno del 20% delle risorse disponibili sul pianeta! Questa iniqua distribuzione provoca conseguenze disastrose di vario tipo, per esempio sanitario (alto tasso di mortalità, diffusione di epidemie, ecc.) e sociale (principalmente a causa dei massicci flussi migratori verso i Paesi ricchi).
Distribuzione e propensione al consumo PAG. 5
Il problema distributivo ha anche una spiccata valenza tecnica, in quanto si tratta di una variabile in grado di incidere sulle grandezze economiche del sistema e interessa pertanto la politica economica. In particolare la politica economica keynesiana punta molto su interventi di tipo redistributivo, per trasferire ricchezza alle classi meno agiate, al fine di incrementare la propensione al consumo e quindi di far crescere la domanda aggregata.
La classificazione dei redditi in base ai fattori produttivi PAG. 6
Abbiamo già trattato della classificazione del reddito inteso come corrispettivo in denaro pagato a coloro che forniscono i fattori produttivi e come sappiamo, a seconda del fattore remunerato si parla di:
• salario, per la remunerazione del fattore lavoro;
• rendita, per la remunerazione del fattore natura;
• interesse, per la remunerazione del fattore capitale monetario;
• profitto, per la remunerazione dell'imprenditore.
La classificazione dei redditi nella contabilità nazionale PAG.7
La contabilità nazionale utilizza una diversa classificazione dei redditi, che riunisce all'interno di tre categorie:
• redditi da lavoro dipendente;
• redditi misti;
• redditi da proprietà.
La classificazione dei redditi nella contabilità nazionale PAG. 8
I redditi da lavoro dipendente sono quelli percepiti da coloro che lavorano alle dipendenze, sotto la direzione, con strumenti di produzione e rischio altrui (lavoratori subordinati).
La classificazione dei redditi nella contabilità nazionale PAG. 9
I redditi misti sono i redditi da lavoro autonomo, quelli percepiti cioè da artigiani liberi professionisti, imprenditori ecc., i quali svolgono una prestazione lavorativa a proprio rischio, utilizzando strumenti di produzione di loro proprietà. Il carattere misto dal reddito risiede appunto nel fatto che il compenso per questi lavoratori remunera sia il lavoro svolto, sia il capitale fornito con i mezzi di produzione, sia l'attività organizzativa.
La classificazione dei redditi nella contabilità nazionale PAG. 10
I redditi da proprietà sono quelli che remunerano i fattori capitale (interesse), natura (rendita) e attività imprenditoriale (profitto).
Le nozioni di patrimonio e di reddito PAG. 11
Occorre distinguere con chiarezza due concetti:
• Reddito
• patrimonio.
Il patrimonio è l'insieme di beni mobili e immobili appartenenti a una persona o a una famiglia, accumulato nel tempo e derivante da eredità, donazioni, investimenti, risparmio ecc. Si tratta di uno stock di ricchezza considerata in un certo momento, e dunque di una grandezza statica che, come tale, si contrappone al concetto di reddito, che è una grandezza dinamica e si identifica con il flusso di ricchezza che affluisce a una persona o a una famiglia in un dato periodo di tempo, di solito un anno.
Prestazioni assistenziali e previdenziali PAG. 12
Occorre anche distinguere dai redditi tutti quei compensi che non possono configurarsi come remunerazione dei fattori produttivi. Ci riferiamo in particolare alle prestazioni assistenziali, quali sussidi di disoccupazione, assegni agli indigenti ecc. E alle prestazioni previdenziali come le pensioni. Queste ultime possono tuttavia essere collegate all'attività produttiva, in quanto pagate con i contributi accumulati dal datore di lavoro e dal lavoratore durante il periodo lavorativo.
I diversi tipi di distribuzione PAG. 13
La distribuzione del reddito può essere analizzata sotto diversi profili e con riferimento a parametri differenti. Si distinguono a riguardo i seguenti quattro diversi tipi di distribuzione:
• distribuzione funzionale;
• distribuzione personale;
• distribuzione territoriale;
• distribuzione settoriale.
Distribuzione funzionale PAG. 14
La distribuzione funzionale è la ripartizione della ricchezza effettuata sulla base della funzione produttiva svolta dei soggetti (è dunque la distinzione a noi già nota tra salari, profitti, rendite e interessi).
Distribuzione personale PAG. 15
La distribuzione personale è la distribuzione della ricchezza tra vari soggetti, indipendentemente della funzione produttiva svolta; in questo contesto si prendono in considerazione i singoli soggetti o le singole famiglie e si considera la quantità di ricchezza da essi possedute, prescindendo dal tipo del reddito percepito.
Distribuzione territoriale PAG. 16
La distribuzione territoriale del reddito considera la distribuzione della ricchezza tra le varie aree del paese.
Distribuzione territoriale PAG. 17
I dati della distribuzione territoriale vengono solitamente considerati distinguendo tra reddito prodotto e reddito distribuito. In tal modo è possibile constatare che non tutto il reddito prodotto in una determinata zona viene percepito dalla popolazione residente. È il caso, per esempio, di quelle aree economicamente sviluppate dove lavorano molti immigrati di Regioni o nazionalità diverse che inviano una parte della loro retribuzione alle famiglie nelle zone di origine.
Distribuzione territoriale PAG. 18
L'analisi della distribuzione territoriale dei redditi italiani mostra una notevole differenza tra le Regioni del nord e quelle meridionali. La riduzione di questo divario rappresenta uno dei principali obiettivi di politica economica. Il dato della disuguaglianza territoriale trova il suo aspetto più drammatico sé lo si esamina a livello planetario: nel mondo la ricchezza media per adulto è di circa 63mila dollari; La Svizzera, con 564.650 dollari di ricchezza per adulto, è in testa alla classifica mondiale; Con 234mila dollari di ricchezza per adulto, l’Italia si piazza invece 20°; il gruppo più povero di paesi, con ricchezza inferiore a 5.000 dollari, è fortemente concentrato in Africa centrale e Asia meridionale.
Distribuzione settoriale PAG. 19
La distribuzione settoriale prende in considerazione la ripartizione del reddito tra i diversi settori produttivi (per esempio, tra settore agricolo, industriale, servizi, o tra vari sottosettori). Mostra il differente contributo dei settori economici (primario, secondario, terziario quaternario) alla formazione del reddito nazionale.
Distribuzione settoriale PAG. 20
L'analisi della distribuzione settoriale rappresenta un indice significativo dello stadio evolutivo raggiunto da un Paese. Infatti, il percorso seguito dei sistemi economici passa da uno stato primitivo, in cui il reddito viene prevalentemente prodotto dal settore agricolo (primario), per passare poi a uno intermedio in cui il settore industriale è predominante, e per concludersi poi, nella fase finale tipica dei sistemi economici più sviluppati, con la prevalenza del settore dei servizi (terziario) e del settore quaternario (imprese di servizio ad elevato valore aggiunto e tecnologico).